Regia di Louis Leterrier vedi scheda film
Angry Men
Secondo film, dopo quello del 2003 di Ang Lee, dedicato al colosso verde marveliano: indubbiamente più improntato allo spettacolo puramente intrattenitivo rispetto al suo “complicato” predecessore, il lavoro di Leterrier si introduce a pieno titolo nel Marvel Cinematic Universe (al nr. 5 per una visione cronologica).
Il regista, un onesto manovale del blockbuster moderno (“The Transporter” del 2002 e “Danny the Dog” del 2005 i suoi lavori da ricordare), abbandona pertanto le istanze psicanalitiche ed edipiche di Ang Lee per tuffarsi in una classica “origin story” rettamente lineare rispetto alla fonte fumettistica: l’esperimento con le onde gamma andato male, la trasformazione e la fuga di Bruce Banner/Edward Norton in Brasile (in un’ideale continuazione col suo predecessore), dove viene alfine rintracciato e dove inizia il racconto delle sue peripezie.
Che presentano però poche novità rispetto ad un “canovaccio” di base stringato ed asfittico; più interessante, in questo senso, la prima fase ambientata nelle favelas dove la ricerca di “tranquillità” di Bruce banner si scontra con problematiche sociali e strutturali: un carnaio umano intrappolato tra povere lamiere e pronto ad implodere, con Hulk che ne rappresenta sia il risultato (ultimo) che la causa.
La fase centrale – il ritorno a casa e l’incontro con l’amata (Betty/Liv Tayler) risulta ancora più convenzionale e scontata; preparatoria all’apoteosi finale, definisce blandamente i due antagonisti: il Gen. Ross e padre di Betty (interpretato da un astioso - da contratto – William Hurt) ed il vero cattivo della pellicola Blonsky (un Tim Roth forse fuori parte).
Per arrivare all’immancabile e auspicato scontro finale, nulla di più - per resa – di duelli urbani già visti poi in altri lidi (ma quasi avanguardistici nel 2008, anno di uscita del film), con una sufficiente “verve” visiva ed una ammirabile stringatezza delle varie fasi che conducono ad un finale “in medias res” rispetto ad un seguito a tutt’oggi non pervenuto (se non in ambito “Avengers”).
Un lavoro in definitiva poco coraggioso ed eccessivamente “mediato”, quale parte di un giocattolone più complesso e duraturo rispetto ai destini di un singolo personaggio (seppur affascinante quale Hulk), che paga inesorabilmente il raffronto “autoriale” con il lavoro precedente di Lee (molto più coraggioso ed incisivo) e, pertanto (per scelta o per virtù), “omaggiato” di una resa meramente fracassona, presto dimenticabile e non sempre divertente.
Con rabbia
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