Regia di Anna Negri vedi scheda film
La telecamera che si mescola con la vita è sempre un po’ goffa e pasticciona: le sue rigide dinamiche appaiono sconvolte dal disordinato flusso degli eventi e dal turbinoso movimento delle passioni e degli umori. Anna Negri mostra come il documentario, che inizialmente intende riprodurre scientificamente un fenomeno sociale, possa trasformarsi nella concitata cronaca dell’imprevedibilità dell’esistenza individuale, in cui tutto è possibile, e nulla si riesce veramente a spiegare fino in fondo. L’esperienza segue regole espressive diverse rispetto alla testimonianza: le sue parole nascono, infatti, nello stesso istante dei concetti, dando vita ad una lingua tutta da inventare, che prende forma strada facendo, a suon di errori e correzioni. In questo film c’è tutta la fatica di vivere e riprendere, di stare al passo con qualcosa che si va via via creando in maniera casuale e inopinata, senza altro scopo che quello di seguire l’irresistibile impulso del momento. Quest’opera è the making of di una storia d’amore che si sfalda, di una vicenda che sfugge al controllo e parte lungo la tangente, costringendo anche i cineoperatori a separarsi e a raddoppiare le macchine da presa, per stare dietro alle due metà di una coppia ormai scoppiata. Quando la situazione si complica e perde di unitarietà, più difficile diventa anche raccontarla per immagini: coerenza e simultaneità si disgregano allora in un puzzle impazzito, che si ribella all’illusoria consequenzialità prodotta dal montaggio. Riprendimi, questo titolo dal duplice significato, suona come un invito a filmare quanto più possibile, per raccogliere il maggior numero di pezzi di una realtà che, agli occhi della ragione come dell’amore, chiede di poter riallacciare quei legami naturali che ingiustamente sono stati infranti, e sono i soli in grado di conferirle un senso.
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