Regia di Enrico Pau vedi scheda film
Scappare. Questa, per Jimmy, è la priorità assoluta. Venir via dalla Sardegna, dalla famiglia, dalla prospettiva di lavorare in raffineria. E poi, via dal centro commerciale dove ha appena compiuto una rapina, via dal riformatorio, dalla comunità di recupero, ad un certo punto, forse, dalla vita stessa. Per il diciassettenne protagonista di questa storia, correre significa stare fermo a rimuginare sulla propria infelicità, tenendo d’occhio le porte, i cancelli, le finestre, le possibili vie di fuga. Sembra disperato, ma, fondo, è piuttosto indeciso. Non è combattivo come crede di essere. In fondo aspetta soltanto che le sorti del gioco girino in suo favore, e che, con un po’ di fortuna, tutto diventi semplice. Non riflette sui pericoli, o forse, addirittura, evita di guardarli. Il libro di Massimo Carlotto, da cui Enrico Pau ha tratto questo film, nitido ed inquieto, traccia un percorso segnato dalla negazione, dal rifiuto del presente a cui non si accompagna la costruzione di un futuro. Jimmy è tanto avventato nel disprezzare la realtà quanto lo è nel venerare i sogni, che, con la fantasia, lo rapiscono spesso verso scenari da favola, in cui tutti si suoi desideri si avverano. Nell’anima è ancora un bambino, incapace di fare i conti con i propri limiti e con la propria coscienza, mentre la sua immaginazione è fatta soltanto di cose smisurate ed impossibili: i soldi facili, il trasferimento in Messico, una relazione con una donna matura. Jimmy non ama nulla di ciò che possiede, ed odia tutto ciò che gli viene offerto: mentre i suoi occhi vagano lontano, i suoi piedi perdono il contatto con il terreno e ripetutamente inciampano. Il romanzo di formazione di chi non ha nessuna intenzione di crescere – almeno non nel significato vero del termine – non può trovare ambientazione migliore che quella di un’isola distante dalla terraferma, un mondo a sé stante, dai confini ben delineati, circondato da un’idea di infinito ridotta ad una banale, inespressiva metafora paesaggistica. Il mare è una rappresentazione sfumata e sfuggente di quello che Jimmy non riesce a mettere a fuoco, che è convinto di volere, ma che non è determinato nel perseguire, e sul cui effettivo significato non si interroga mai. Dal suo silenzio interiore nasce la reticenza narrativa che avvolge il suo personaggio, apparentemente togliendo respiro al racconto, ma, alla fine, arricchendolo del sordo rimbombo della sofferenza incompiuta, in attesa di una definizione. Il disagio, il più delle volte, è una vaga sensazione di ostilità nei confronti di tutto e di tutti: un malessere a cui contribuisce non poco proprio il mistero intorno alle sue remote origini, ed alle cause scatenanti delle crisi esistenziali, delle esplosioni di rabbia, dei colpi di testa che ingarbugliano il quadro generale, aumentando la separazione tra il soggetto interessato e coloro che vorrebbero aiutarlo. Il ragazzo “difficile” è anzitutto quello che non riesce a capire se stesso: questo è il caso più complesso, molto più di quelli derivanti da esperienze pesanti e traumatiche. Jimmy della collina attira la nostra attenzione sul dramma del dolore giovanile inspiegabile, che, in quanto incompreso, non si sa come trattare e non può essere superato: si trasforma, così, in un’autentica prigionia, quella da cui un ragazzo come tanti, un giorno, si mette in testa di dover evadere, ad ogni costo.
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