Regia di Tony Goldwyn vedi scheda film
Il motivo principale per vedere il remake americano del film generazionale di Gabriele Muccino è uno ed uno solo: risponde al nome di Zach Braff, considerato da buona parte della mia generazione (me compreso) un mito assoluto, essendo il protagonista del meraviglioso serial Scrubs, sitcom con cui (e grazie a cui) siamo cresciuti. L’indimenticato J.D. interpreta il ruolo che fu di Stefano Accorsi e le differenze si notano: non tanto per criteri di bravura, quanto per l’evidente tono di spaesata imbranataggine che Braff ci mette nel suo Michael, trentenne in crisi a causa di un’avvenente sedicenne.
Per il resto, il film ricalca pedantemente il campione d’incassi italiano, addirittura mettendo in scena sequenze quasi uguali (due per tutte: Blythe Danner allo specchio come Stefania Sandrelli e l’abbraccio tra Danner e Jacinda Barrett dopo il tradimento di Michael come Sandrelli e Giovanna Mezzoggiorno), ma asciugandolo di certo intimismo nevrotico tutto mucciniano (nonostante le urla della Barrett, che imitano invano lo splendido isterismo della Mezzogiorno), sacrificando però certi passaggi anche interessanti: tutta la storia della madre in crisi è sintetizzata in tre o quattro scene; il personaggio che fu di Pierfrancesco Favino compare una volta o due, portando di fatto il gruppo di amici da cinque a quattro; i personaggi di contorno sono affrontati con una certa superficialità, e si finisce col ritenere la corrispettiva americana di Sabrina Impacciatore una psicolabile fine a se stessa.
Naturalmente avvolto in quella sensazione di già visto tutto sommato prevedibile, non riesce nell’intento di appassionare davvero chi ha apprezzato il film di Muccino, ma penso che non riesca nemmeno a coinvolgere veramente chi il film di Muccino non l’ha visto. Da Paul Haggis ci si poteva aspettare qualcosa di più, ma almeno due o tre scambi di battute restano, così come il dialogo tra Braff e Tom Wilkinson, forse l’unico personaggio che acquista qualcosa. Nel bene e nel male, L’ultimo bacio resta una commedia notevole perché capace di parlare non solo all’Italia; il suo rifacimento americano si rivela fiacco e sbrigativo.
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