Regia di Esmeralda Calabria, Andrea D'Ambrosio vedi scheda film
Uelcom in Campania. L’inglese ‘maccheronico’ già dà la giusta visione di quello che il film racconta. “Napule è nu sole amaro, Napule è 'na carta sporca e nisciuno se ne importa”, cantava già molti anni fa il cantautore napoletano.
Un viaggio, da Afragola a Giugliano, Villa Literno, passando per Acerra. Naturalmente, fra le immondizie, l’amianto, il cadmio, l’alluminio, l’arsenico. A cielo aperto. Nel frattempo, tutti che combattono, resistono finché esistono. Molti muoiono. Anche gli allevatori, insieme alle proprie pecore e bufale, si ammalano per la diossina, i contadini coltivano le loro terre, fragole, albicocche, pesche, patate (che arrivano sulle nostre tavole), a ridosso delle discariche. Quelle fin qui elencate, sono solo alcune delle storie che testimoniano e denunciano il massacro della Campania, ad opera della camorra imprenditrice, con il suo bazar di tir, camion, pale meccaniche e quant’altro possa servire a mistificare la morte. Lo illustra bene questo pezzo di Italia il magistrato che spiega la mafia dai colletti bianchi, le istituzioni colluse, svelando dinamiche di un’attività camorristica, che miete più vittime di qualsiasi altro fenomeno criminale.
Il documentario diretto da Esmeralda Calabria e Andrea D'Ambrosio, autori anche di soggetto e sceneggiatura con Giuseppe Ruggiero, è un ‘pugno nello stomaco’. Ricorda i film di Rosi, ha la stessa potenza di questi. Fa male, emoziona e fa piangere, perché è un docu-film capace di negare qualsiasi prospettiva o fuori-uscita dal pericolo che incombe in Italia, ma oggi in Europa. Perché il problema rifiuti di Napoli, non è un problema ormai della Campania, dell’Italia, ma dell’Europa, delle sue (non) politiche, della sua economia, della sua criminalità, dell’(dis)interesse della salute pubblica. In questa terra, come già egregiamente raccontato da Saviano in “Gomorra”, ogni spazio “è vitale” per la mafia: cavalcavia, campi, bordi di strade, cave sotterranee, ecc. Tutto è da occupare, tanto, poi a pagare sono i contadini, i pastori e i loro animali, coloro che si battono per l’ambiente, la povera gente, per dirla in gergo comune. Quelle che i tre documentaristi ci mostrano sono immagini gravide di sporcizia, montate con grande professionalità e accompagnate da una musica lancinante, inquieta. Tutto messo a servizio dello stupro e della violenza perpetrata nei confronti di una terra che era tra le più fertili d’Italia, neanche molti anni fa.
Nel frattempo, di anni ne passano tanti, da quando il Comune di Acerra ha affittato a 15 milioni di vecchie lire al giorno, per lo stoccaggio, un terreno di 10 mila mq, in cui però finivano pure sostanze tossiche; la ditta Impregilo, che aveva ottenuto l’appalto per lo smaltimento a livello regionale, è sotto processo; le ecoballe prodotte vengono accumulate per mancanza di termovalorizzatori, produttori, fra l’altro, di microparticelle nocive. In parlamento giace ancora la proposta per inserire i delitti ambientali nel codice penale, mentre la “Chernobyl italiana” satura i cieli, l’aria e i polmoni degli italiani, esclusi alcuni, quelli di Bassolino e quelli degli imprenditori della Impregilo. Senza fare i conti con l’unica verità, pronunciata a chiare lettere dall’allevatore: “ha da morì consumata”.
Giancarlo Visitilli
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