Regia di Hiroshi Teshigahara vedi scheda film
Un insegnante, giunto nel deserto in cerca di una rara specie di insetto, rimane ostaggio di una donna, abitante in una casa collocata a ridosso di una parete impossibile da scalare, ed isolata dal resto del mondo. Lei, che ha perso il marito e l’unico figlio sotto una frana, riesce, con un abile inganno, a catturare l’uomo, costringendolo a rimanerle accanto e ad aiutarla nella quotidiana fatica di spalare via i cumuli di sabbia che incessantemente si depositano intorno alla sua abitazione. Come nel precedente Pitfall e nel successivo The Face of Another, la collaborazione tra Hiroshi Teshigahara e Kôbô Abe produce una storia in cui il protagonista è vittima di una metamorfosi esistenziale senza ritorno, che lo confina, per sempre, in una condizione indefinita e sospesa, separandolo permanentemente dal suo passato. Niki Jumpei – al pari del minatore diventato fantasma e del signor Okuyama che sostituisce il proprio volto ustionato con una protesi - scompare, eppure sopravvive, in una forma invisibile per chi lo conosceva. Questa nuova fase della vita, che cancella di fatto la precedente, è una sorta di aldilà terreno, che realizza, attraverso l’oblio forzato e la completa liberazione dai lacci del passato, un paradiso pieno di pace e di silenzio, però totalmente privo di beatitudine. Questo eden spoglio ed immobile crea, rispetto al mondo da cui si proviene, una distanza di proporzioni cosmiche: è il luogo del ripensamento che, tuttavia, non prevede la possibilità di rimediare agli errori commessi ed ai torti inflitti. È una prigione circondata da mura di gomma (una bolla d’aria, una duna di sabbia, una maschera di lattice) contro cui ogni grido si spegne in un sospiro ovattato, ed ogni tentativo di fuga sfuma in un morbido scivolone. In quella fine aperta, in ugual misura, sull’eternità e sul nulla, si manifesta il mistero che, in un soffio, ci fa suoi, senza però permetterci di interrogarci sulla sua natura. A noi è richiesto soltanto un atto di sottomissione, di passiva accettazione di un senso che finalmente si compie, benché sia destinato a rimanerci incomprensibile. Di tale trascendenza fatalista questo film ci presenta il lato pratico, rappresentato da uno spirito di adattamento che arriva ad investire perfino la dimensione dei sogni individuali, adeguandoli alle condizioni dell'ambiente, anche di quelle più estreme: così le piccole aspirazioni di gloria di Niki, che sperava di legare il suo nome ad una scoperta entomologica, cedono il passo alla gioia, priva di fama, di esser riuscito a ricavare l'acqua da una buca scavata nella sabbia.
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