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La donna di sabbia

Regia di Hiroshi Teshigahara vedi scheda film

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La recensione su La donna di sabbia

di Antisistema
10 stelle

Hiroshi Teshigahara traendo spunto da un romanzo di Kobo Abe - autore della sceneggiatura -, modella le immagini come il vento leviga incessantemente i granelli di sabbia, che si aggregano e disgregano continuamente. 
"La donna di sabbia" (1964) è un'opera sui generis nel raffigurare un'amara parabola pessimista sulla natura umana, attraverso gli stilemi della nuovelle vague francese, che in Giappone ha trovato una propria precisa identità tramite case di produzioni indipendenti, tra cui la più significativa è l'ATG ("Art Theatre Guild"), costola della major Toho
Attorno ad essa si sono radunati cineasti come OshimaImamuraShinodaYoshida e lo stesso Teshigahara. Tutti esponenti di spicco della "New wave" giapponese, fautori di un cinema disincantato nei confronti dell'evoluzione del paese, ritratto nelle sue molteplici sfaccettature e negatività, all'insegna di un veloce progresso economico a cui fa da contraltare un forte immobilismo sociale.  
Tale contraddizione è solo apparente, perchè lo sviluppo economico capitalista ha contribuito a far aumentare freneticamente i ritmi quotidiani, adeguando forzatamente la società ai ritmi richiesti di produzione richiesti dalla dittatura del soldo. 
La sabbia diviene quindi elemento simbolico dell'immutabilità della condizione umana, all'interno di tale sistema occidentale a cui il Giappone ha aderito in maniera esasperata. 

L'entomologo dilettante Junpei (Eiji Okada), vuole staccare dai ritmi infernali della civiltà e dal proprio lavoro di professore per 3 giorni, vivendo tale periodo di permesso come una pausa momentanea dalla civiltà. Da amante ed osservatore di varie tipologie di insetti, finirà con il ritrovarsi bloccato in una casa, situata all'interno di una depressione sabbiosa senza possibilità di uscita, assieme ad una donna senza nome (Kyoko Kishida), a causa dell'inganno perpetrato dagli abitanti del vicino villaggio. 
Junpei da soggetto osservante, diventerà a sua volta osservato, come quegli insetti da lui ossessivamente catalogati con rigore scientifico e minuzioso lavorio. Obbligato a raccogliere sabbia per conto degli abitanti e poter così sopravvivere grazie alle razioni ricevute, tale condizione diventa metafora della ricerca affannosa sulla ragione d'essere ultima di un essere umano, costretto ad una routine sfiancante giornaliera; alzarsi, produrre, consumare e dormire. 
Una condizione uguale a sè stessa, come la sabbia, che si rifoma incessantemente, rendendo l'agire umano all'insegna di una lotta senza risultato, degna dell'arguzia caustica dei "Dialoghi" di Luciano di Samosata, ma de-privati di di ogni sagace ironia, il che conduce all'abisso di disperazione, il cui tono ricorda quello delle "Operette Morali" di Giacomo Leopardi.

 

Tale alineante condizione risulta introiettata nella psiche della donna da tutta una vita. Incapace di concepire alcunchè di diverso per sè stessa dalla logorante atitvità notturna di raccolta della sabbia e da uno scomodo riposo diurno, lavora di immaginazione favoleggiando su una Tokyo colma di cinema, ristoranti e locali d'intrattenimento. L'altra faccia del capitalismo, dove il frutto del lavoro viene sperperato in futili intrattenimenti ancillari al sistema economico imperante. 
Teshigahara smussa la pellicola dal pesante simbolismo oscuramente compiaciuto, che limitava il precedente "Pitfall" (1962), a favore di una sottile astrazione, capace di indagare con fare quasi chirurgico, l'intimità dell'uomo e della donna. 
Inquadrature sempre più dettagliate, vivisezionano le immagini, su particolari dei corpi dei due protagonisti, la cui pelle viene sporcata e irritata, dai numerosi granelli di sabbia, non eliminabili a causa della penuria dell'acqua. 
La regia lavora su micro-dettagli, facendo emergere sottigliezze morbose nei rapporti tra i personaggi, grazie all'ausilio di un montaggio di rara potenza espressiva, che plasma immagini simboliche nella diluizione infinita delle dissolvenze incrociate, fondendo il gusto surrealista di Bunuel con le stampe dalle linee libere di Hokusai. Teshigahara plasma, diassembla e ricombina in nuove forme la sabbia, mai trasposta al cinema in modo così ipnotico nella sua essenza, grazie alla fotografia immersiva di Hiroshi Segawa

Lo stile avanguardistico, non risulta mai fine a sè stesso. Contribuisce a costruire una progressiva alienazione della condizione umana, attraverso slanci onirici ed espedienti presi dal teatro "Kabuki", che riverberano la miseria di un'esistenza dove la soprafazione di chi sta in basso è la regola. 
Prevale la logica della scodella di riso, in cui coloro situati sul fondo, vivono seguendo un claustrofobico spartito di sonorità e desolazione, trascinando l'infinita tensione verso un assurdo oltre ogni matericità, rendendo il paesaggio di sabbia sempre uguale a sè stesso, un non luogo, che aplifica la portata universale del messaggio. Che sia Tokyo o una depressione sabbiosa, la logica della sopravvienza è la medesima. Teshigahara configura un'epopea dell'anti-viaggio, in quanto il continuo mutamento della sabbia, conduce solo alla sedimentazione di altra sabbia, quindi la totale staticità dell'ambiente, all'innegna di un'esistenza amara ed inevitabile, piegata al soddisfacimento dei bisogni primari, per ritrovare la propria salvezza nel mondo. 

 

 

Film aggiunto alla playlist dei capolavori: //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

 

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