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Killer, adios

Regia di Primo Zeglio vedi scheda film

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La recensione su Killer, adios

di scapigliato
8 stelle

Di un anno successivo al “Killer Calibro 32” che di fatto apriva la variante gialla dello Spaghetti-Western, anche questo “Killer, Adiós” poggia su una trama ad enigma in cui non si conosce il volto dell’assassino, dove ci sono molti delitti, quasi inutili, e molti depistaggi. Il titolo spagnolo riprende anche il famoso “uno su mille”, il fucile di prestigioso che ogni casa produttrice faceva ogni mille copie. Un fucile che è al centro del capolavoro di Anthony Mann “Winchester ‘73”, e che ritroviamo come filo rosso tra le pieghe di questo buio giallo di Primo Zeglio. Certa critica insiste che Peter Lee Lawrence fosse il pistolero dei western-gialli. A parte i due film in cui interpreta il personaggio ideato da Gicca Palli, Lawrence vivrà ben altre vicende western e ben altri personaggi. Qualcosa di giallo ci può essere anche nei suoi film successivi, ma non è una componente così marcata da dare a tutto il film tale titolo. Sicuramente, dei pochi western dall’intreccio giallo, questo ultimo western di Primo Zeglio è uno dei migliori. Atmosfere tese, dialoghi che sfiorano pure il mélo, una certa rarefatta aria di fatalità che pervade il grosso delle scene, notturne, silenziose, interne, pronte a diventare teatro di un insolito delitto. Peter Lee è Jesse Brayn, ovvero il Silver di “Killer Calibro 32”, che qui veste però i panni di un ragazzo che torna al suo paese natale richiamato da un possidente del posto che lo vuole piazzare come sceriffo, visto che quello attuale è alle dipendeze di un altro ricco ranchero. Durante il suo soggiorno avvengono dei delitti che porterebbero la firma di Nello Pazzafini, visto che l’arma trovata sul luogo di uno dei secondi delitti è il celebre “uno su mille”. Ovvio il depistaggio, e il bel protagonista, confuso e lacerato per questioni di amore, di giustizia e di ricerca di verità, lo capirà fin da subito assecondando ogni colpevolista che vorrebbe già la testa di Pazzafini. Peter Lee Lawrence, che è senza dubbio uno dei più ispirati attori del genere, capace di portare un impeto esistenziale e tragico ai suoi personaggi, anche in questa veste che ricorda molto quella di Gary Cooper in “Mezzogiorno di Fuoco”, dà il meglio di sé, come sempre. Ripercorrendo infatti una delle più felici interpretazioni metadiscorsive sul giallo, ovvero che l’indagine del detective sulla vertà dei delitti è anche la ricerca dell’uomo sulla propria verità, o anche la ricerca del regista sulla verità del cinema, anche Peter Lee si trova ad indagare soprattutto i suoi umori. Inquadrandolo in molti primi piani, il regista ci vuole mostrare la bellezza e la complessità del personaggio che, a denti serrati, affronta la “ricerca”, anche da un punto di vista filosofico e fine a se stesso, con tutti i dolori del caso. Un ruolo complesso, di un ragazzo ribelle di natura, spavaldo e solitario, innamorato della donna sbagliata, destinato a sparare sempre troppo in fretta, distruggendo la linearità del passo naturale delle cose. Un giovane che va veloce, anche verso l’autodistruzione. Non è propriamente il caso di questo suo Jesse Brayn, ma lo è per altri suoi celebri personaggi.
Un film quindi che merita il plauso di una trama ben congegnata, anche se a volte i dialoghi sono telefonatissimi e qualche svolta troppo prevedibile e puerile. Ma il film è pieno di scene interessanti, come quella iniziale dove Peter Lee spara in un occhio ad un bandito, oppure il suo confronto con Nello Pazzafini dove questi troverà la morte nonostante non fosse né un cattivo né un buono, ma un personaggio bellissimo e non standardizzato, ben interpretato dal miglior caratterista del genere. E poi c’è la soluzione finale, con quella faccia da pazzo di Victor Israel che scappa su un carro da morto aprendo così una scena dall’impatto più gotico che giallo o western, che sembra essere uscita da un vecchio libro inquietante. Molto letteraria è infatti la figura del brutto Dixon, appunto Israel, che è poi anche il laido assassino, feroce e perverso, che ricorda quindi i celebri cattivoni della letteratura gotica come “Il Monaco” di Lewis. Un film in definitiva, che non dimentica l’anima e il fascino del western, ma sa confezionare con rigore una trama gialla, ben interpretata e ben diretta, con un celebre motivo musicale di Claudio Tallino che ancora oggi non mi si stacca dalle orecchie.

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