Regia di Andrew Stanton vedi scheda film
Si passano una quarantina di minuti in compagnia di un robottino che, novello Virgilio, ci guida in un dimenticatoio collettivo, una sorta di pattumiera della memoria in cui le uniche voci udibili sono quelle dei reali protagonisti del nostro tempo: le merci. E le merci tecnologiche sopra tutte le altre. La visione della prima parte del film è dura, ma appagante per via di quel certo ammiccamento intellettualizzante con cui le vicende del robottino solitario sembrano titillare le velleità salottiere dello spettatore incline alla speculazione filosofica o alla riesumazione pop-trash che ora fa tanto fico. Poi l'intervallo apre uno scenario del tutto spiazzante, e non in senso positivo. Sul piano dello stile e dei contenuti il secondo tempo è del tutto diverso dal primo, anzi, è proprio un altro film, adotta un altro tipo di umorismo, offre un'altra visione del mondo e non appaga in nulla quanto prefigurato nel primo tempo. E il messaggio è sparato a voce troppo alta. Lo stile di vita degli umani del secondo tempo sembra prefigurare quanto alcuni studiosi vanno teorizzando da tempo, cioè che l'evoluzione in senso tecnologico della nostra specie non è altro che un rimedio alla nostra inadeguatezza biologica. (Se non siete daccordo provate a rincorrere a mani nude una gallina da fare arrosto, poi ne riparliamo.) A questo si aggiunga che i mezzi tecnologici che tanto ci facilitano la vita (ad esempio la rete per acciuffare la gallina e il fuoco per cuocerla, ma anche il linguaggio per dire:"prendiamo la gallina") non fanno che perpetuare e aggravare la nostra inadeguatezza con un progressivo esonero del nostro organismo da qualunque incombenza di carattere pratico. La nostra specie tende ad abbandonare la natura per poter abitare un mondo artificiale. Anche a costo di annientare la natura e dover abbandonare il pianeta. Tutto ciò emerge nel film con una chiarezza disarmante. In Wall-e gli umani non hanno più bisogno neanche di camminare e quando vi sono costretti lo fanno ormai a fatica. Questa non è una metafora, è una vera e propria tesi. Tesi di cui questa pellicola non è che una didascalia, anzi una divulgazione quasi acritica. E il barlume di speranza che germoglia nel finale suona impoetico quanto il guado insidioso in cui abbiamo, come specie, appena immerso le galosce.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Bella recensione, però la prendi troppo sul serio. ciao
Commenta