Regia di Dan Reed vedi scheda film
Ho visto più volte questo film e credo che, in generale, sia stato un lavoro prima di tutto mal distribuito e in secondo luogo non compreso pienamente dal pubblico per quanto concerne il messaggio che vuole trasmettere e i temi che vuole affrontare. Opinione mia, ovviamente.
Ad una prima visione mi ha totalmente spiazzata, già con la seconda, però, ho iniziato a comprenderne il significato e a notare dettagli che precedentemente mi erano sfuggiti, sicché nel complesso l’ho apprezzato molto: merita pienamente le 4 stelle che gli ho assegnato, in principal modo per l'importanza della riflessione che esso sottende e ancor di più se tiene in considerazione che il film è stato realizzato a basso budget.
Closure, o se vogliamo usare il titolo originale Straightheads, è un film che vuole mostrare i diversi aspetti della violenza attraverso la storia di due personaggi che da molti non sono stati graditi in quanto ridotti al minimo, quasi senza personalità. Ma è forse la loro scarsa caratterizzazione ad essere uno dei dettagli che mi sono piaciuti di più di questo film: essa dimostra la precisa volontà degli sceneggiatori di rendere i protagonisti rappresentativi di un pubblico che va al di là del singolo individuo umano. Alice è una donna d'affari, Adam un tecnico, ma chi effettivamente siano questi personaggi non riusciamo a scoprirlo dal film: l'unica informazione che emerge sul loro carattere è la loro "sete di vendetta". Questa descrizione scheletrica permette al regista di rappresentare, attraverso due singoli individui, un campione di soggetti umani molto più vasto di quanto avrebbe potuto fare approfondendo la natura di Alice e Adam, sottolineando in questo modo come tutti gli uomini abbiano una propensione alla violenza e alla vendetta, come tutti gli uomini siano capaci di lasciarsi consumare dall’odio e dal rancore. Sono proprio questi i sentimenti che dominano e vincono l’intera pellicola e l’intreccio stesso, sotto forma di accanimento ossessivo e viscerale verso innocenti (Alice e Adam, Sophie e il suo cane) e colpevoli (il gruppo di aggressori). Le relazioni stesse tra i personaggi sono dominate dalla brutalità: l’attrazione tra i due protagonisti è puramente sessuale e non dà spazio alla possibilità di un amore sincero e lenitivo. Anche i rapporti che dovrebbero risultare positivi vengono in realtà risucchiati in questo mondo di aggressività: il padre di Alice le insegna a rispondere alla violenza con altra violenza, l’unico amico di Sophie (il cane) viene ucciso dalla protagonista. Non a caso predomina dall’inizio alla fine del film un senso di inquietudine e angoscia, ben rimarcato dal carattere buio della pellicola e dalla totale assenza del sole: il cielo stesso è coperto dalle fronde degli alberi, dalle nuvole o dall’oscurità della notte così come la speranza di ravvedimento, di misericordia, di perdono sembra essere imprigionata da un male che si espande, senza arrestarsi, sino alla fine del film ed oltre.
I titoli, sia “Closure” che “Straightheads” sono perfettamente calzanti: “Closure” esprime il senso di fine, chiusura della speranza di redenzione. “Straightheads” richiama la frase-slogan riportata in una delle locandine del film, ovvero “everyone has a breaking point”: “ognuno ha un punto di rottura”, oltre al quale cessa di essere “straighthead”, di seguire la “retta via” e si abbandona alla violenza, alla vendetta e al volto più nero della natura umana.
Ho notato che il film è stato qui (molto sapientemente) classificato sotto “horror”: del resto, cosa può provocare più orrore dell’essere messi davanti ad una nuda e cruda descrizione dei più negativi sentimenti che l’Uomo è in grado di provare?
La storia è abbastanza credibile, anche se non del tutto: mi piace credere che la reazione dei protagonisti alla violenza subita venga leggermente esagerata dal regista per sottolineare in modo ancora più efficace il senso del film.
Geniale la scena finale, in cui Adam si muove verso la telecamera, rendendo partecipi in maniera ancora più netta gli spettatori al gioco senza fine della violenza.
La regia è molto buona, il regista riesce a portare sullo schermo la sua idea di violenza e a suscitare la gamma di emozioni (inquietudine, angoscia, shock...) che dovrebbero spontaneamente nascenere nel pubblico di fronto ad un atto di violenza, in particolare ad uno stupro.
Riporto un commento particolarmente significativo di Dan Reed al film: "Volevo davvero fare un film, in particolare per i giovani uomini, che si pongono delle domande sulla violenza e che sono preoccupati a riguardo, che si ritrovano la violenza in ogni genere di videogames e film. Volevo fare un film del tipo ''Chi ha ragione e chi ha torto? Chi è buono e chi cattivo?'' . Volevo anche rendere scioccante la violenza. Perchè per me l'atto dello stupro e molto più scioccante sullo schermo rispetto a un omicidio. [...] Uno stupro è un grande tabù. Anche lo stupro di un uomo da parte di una donna probabilmente è l'ultima soglia di questo."
Non ho visto altri suoi film, ma sinceramente non l'ho trovato così convincente. E' il motivo per cui non ho dato 5 stelle al film.
Perfetta, forse la sua migliore interpretazione di sempre dopo le miniserie della BBC ("Bleak House", "Great Expectations" e "Any Human Heart") e "La casa della gioia".
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