Regia di Darren Lynn Bousman vedi scheda film
Nulla da aggiungere al film di Bousman che non si sia già detto (vedi mio commento a “Saw III”). La distruzione dell’uomo e della sua etica non conosce limiti e quindi perpetua la deformazione, l’isolazione, lo smembramento. Ci dice già tutto la scena iniziale, per soli stomaci forti, dove il corpo di Jigsaw è messo sotto autopsia dai medici legali. Via il cervello, aperto il torace, estratto lo stomaco. La precedente sovrapposizione con Dio, fatta con “Saw III”, passa dalla Passione al Mattino di Pasqua. Ora abbiamo tra le mani il corpo e il sangue di Jigsaw, il suo cervello e una cassettina audio che riapre i giochi. Jigsaw non è morto, rivive nei gesti e nelle azioni dei suoi fedeli. Qualcun altro gestirà i giochi mortali di John Kramer, e sarà qualcun altro ad assumersi la sua missione. É anche l’occasione, in questo quarto capitolo, di vedere Tobin Bell da vicino, in abiti civili, con la camera che lo tratta da personaggio di primo interesse e non più come spauracchio da colpo di scena finale. Si attendono di più i passaggi con Tobin Bell protagonista che non gli altri, quelli più strettamente legati con l’azione del film, dove il tenente Riggs deve trovare il modo di salvare due colleghi.
Una cosa va aggiunta alla riflessione metadiscorsiva insita nella serie di “Saw”. Con il quarto capitolo della saga il buon protagonista, per trovare i suoi colleghi, deve mettersi nei panni dello stesso Jigsaw, catturare i prescelti e metterli nella scomoda posizione di decidere se salvarsi oppure no. E così inizia il festival delle coreografie sadiche con cui vengono strapazzati i malcapitati. La migliore credo sia quella dello smembramento totale del grasso stupratore. Qui la dialettica sul corpo smembrato, tutta la riflessione sulla carne tipica dell’horror, trova l’audacia più interessante e metaforicamente più opportuna: una pornografia della violenza, anche se “mutilata”, scusate il gioco di parole, dei momenti in cui il corpo si strazia, ma le allusioni, fidatevi, si fanno sentire. Così, nella prima sovrapposizione tra Jigsaw e Dio adesso ne segue una seconda dove il Jigsaw si fa sostituire da un poliziotto, un uomo qualunque che ha da farsi pagare qualcosa: in questo caso l’ossessione alla dedizione al lavoro che lo allontana dalla famiglia. Come Wes Craven aveva già insegnato, lo sfogo violento della vittima sul carnefice è altrettanto crudele e sadico tanto da non distinguerli più. Qui succede lo stesso. Il detective-vittima, nella sua personale discesa dantesca, diventa il Jigsaw-carnefice a cui dava la caccia. Si maschera come lui, lascia a loro stessi i poveretti, diventa lui stesso il demiurgo che si sostituisce a Dio. Resta quindi immutato, elevato alla quarta, tutto il discorso sawiano sulla perdita dell’innocenza dello sguardo post-moderno, frammentato, internetizzato, telegrafato da video, filmini, telegionali, videoclip, che ci rende tutti meno consapevoli dell’esistenza dell’Uomo, di Dio e della società.
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