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Disastro a Hollywood

Regia di Barry Levinson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Disastro a Hollywood

di hallorann
6 stelle

Ben è un produttore di Hollywood, all’inizio del suo racconto che si dipanerà nell’arco di due settimane posa per Vanity Fair. All’anteprima per il pubblico del suo nuovo film FIERCELY, interpretato da Sean Penn e scritto e diretto dall’eccentrico Jeremy Brunell, il pubblico e il boss degli studios Lou non gradiscono il finale in cui il cane del protagonista viene sparato in testa dopo che gli stessi killer hanno fatto fuori lo stesso Penn. Ben in auto legge i responsi negativi sul film, per lui si preannuncia una settimana molto difficile. Egli dunque deve sottostare alla decisione di Lou di far cambiare il finale a Brunell, il quale contrariato per la decisione ricasca nell’alcol e nei psicofarmaci. La vita privata del producer è scandita dall’incontro con i due figli minori avuti da Kelly, dalla quale sta divorziando, nonostante si opponga in tutti i modi tentando di riconquistarla. Accompagna la figlia maggiore Zoe - avuta dalla prima moglie - al liceo, il futuro protagonista del suo prossimo e imminente film Bruce Willis si presenta con una barba da talebano e soprappeso. La major lo vuole almeno senza barba ma Willis è un osso duro bilioso e capriccioso. O la barba o il film. Ben inoltre scopre che Kelly ha una relazione con l’amico sceneggiatore Scott, Zoe era una delle lolite del potente agente Jack McDonagh fresco suicida. Il nuovo film rischia di saltare anche perché Dick l’agente di Willis non ha il coraggio di comunicargli l’ultimatum dei superiori. Improvvisamente le cose sembrano normalizzarsi: Willis si taglia la barba, Brunell cambia il finale di FIERCELY e aprirà Cannes. Non tutto andrà liscio e Ben nella foto di gruppo di Vanity Fair sulla scritta POWER verrà sistemato vicino alla P quasi fuori posa. DISASTRO A HOLLYWOOD è una commedia satirica su Hollywood appunto, simpatica ma non eccezionale. Il buon regista Barry Levinson non è corrosivo e profetico come ai tempi di SESSO & POTERE, attraverso lo script di Art Linson (ispirato da un suo libro) prende in giro contemporaneamente certo cinema alla Tarantino (le musiche del finto FIERCELY sono un palese riferimento) e la mania delle major di avere l’ultima parola sui finali e non solo. Si satireggia senza cattiveria e con modulato umorismo anche sulle lobby ebraiche che bazzicano il cinema, le star e i loro capricci, le nevrosi e le ipocondrie di agenti e produttori. Il bersaglio però nel complesso appare impreciso. Il cast è la cosa che funziona meglio, dal protagonista e co-produttore Robert De Niro (sornione e in parte), all’autoironico Bruce Willis, ai sempre validi e spiritosi John Turturro e Stanley Tucci, dalle apparizioni cammeo di Sean Penn fino alle piacevoli sorprese Catherine Keener e Michael Wincott. Quest’ultimo davvero strepitoso nel ritratto del regista Brunell a metà tra Keith Richards e Abel Ferrara.    

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