Regia di Darajan Omirbaev vedi scheda film
Un ragazzo si avvicina lentamente - come fosse smarrito - al cornicione del tetto di un palazzo: ci appoggia un piede sopra, guarda in giù come a misurare la distanza che lo separa dal suolo e poi, mentre è assorto nei suoi cupi pensieri, all'improvviso arriva un uomo che lo spinge giù facendolo volare nel vuoto. Addio, è finita. Per sempre. E forse è meglio così. Anzi no, non è affatto finita. Era solo un sogno. La tentazione di "volare via", però, ci sarebbe eccome. Infatti il ragazzo protagonista di questa storia, Marat, è nella merda fino al collo. Già, proprio così. E pensare che tutto comincia per colpa di un banale incidente d'auto: mentre è in macchina con la moglie e la bambina, per guardare quest'ultima, Marat si distrae un attimo e... bum, senza nemmeno accorgersene finisce addosso alla vettura che lo precede al semaforo. Non avendo soldi a sufficienza per rimborsare il danno causato, Marat, che per campare fa l'autista per uno scienziato, dietro consiglio di un suo amico si rivolge ad un tipo poco raccomandabile per farsi prestare il denaro necessario, ma gli interessi del prestito si accumuleranno giorno dopo giorno fino a toccare una cifra che il giovane non si potrebbe neanche sognare di possedere. Per chiudere il debito, Marat accetterà di commettere un omicidio per conto del malavitoso che gli ha dato i soldi. Arriva dal Kazakistan questo piccolo gioiello che mescola noir, gangster film e dramma; detto così "Il killer" potrebbe sembrare una pellicola ambiziosa che mette troppa carne al fuoco, e invece no, niente di più sbagliato. Infatti, grazie ad una messa in scena essenziale, Darajan Omirbaev tiene sotto controllo una storia potenzialmente "esplosiva" raffreddandone l'emotività alla maniera del Wenders de "L'amico americano". Il regista kazako, intelligentemente, si affida a lunghe inquadrature, a dialoghi scarni ma efficaci (bellissimo quello fra Marat e il giornalista che il ragazzo dovrebbe uccidere; due uomini seduti su una panchina che parlano del più e del meno, con il secondo che ignora totalmente il destino che lo attende) e ad alcuni notevoli squarci onirici che irrompono come dei fulmini a ciel sereno nella triste realtà quotidiana in cui è immersa la vicenda di Marat. Coerentemente con la sobrietà stilistica adottata da Omirbaev, le scene di violenza rimangono tutte fuori campo. Quanto a Marat, alla fine del suo calvario personale ne uscirà - ineluttabilmente - sconfitto. Il tutto nell'indifferenza generale di un mondo che sembra non aver più posto per gli umili e gli oppressi. Un film amarissimo.
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