Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Dopo il riuscito ma incompreso “N – Io e Napoleone”, Paolo Virzì torna alla più stretta attualità (non che il film con Daniel Auteil, nonostante l’ambientazione ottocentesca, non avesse chiari ed ironici riferimenti alla realtà contemporanea). “Tutta la vita davanti” inizia con un sogno (la protagonista sul pullman vede ballare scatenati e divertiti tutti quelli che le sono intorno sulle note dei Beach Boys) e si conclude con un idilliaco ed intimo pranzetto in un cortile assolato ed in un’atmosfera serena e familiare. Nel mezzo quasi un incubo. Si sorride anche, ma molto amaro. Virzì schiaccia il pedale, forse troppo, sulla caricatura e sul grottesco per descrivere l’Italia volgare, cinica, grossolana ed incartapecorita dei nostri tristi giorni. C’è poco da stare allegri vedendo il film, soprattutto pensando al destino che attende i giovani che, pur avendo tutta la vita davanti, hanno ben poche prospettive allettanti. Diventa comunque sempre più difficile per i registi ironizzare con tagliente leggerezza, velenoso e beffardo sarcasmo su questo nostro povero e derelitto paese. Virzì ha un gran talento, sa dare spessore ai suoi personaggi (penso, oltre alla protagonista, anche alla malinconica Daniela di Sabrina Ferilli, altri invece mi paiono poco a fuoco come quello di Elio Germano o forzati come quello di Micaela Ramazzotti, peraltro osservata con evidente e compiaciuto interesse dalla macchina da presa di Virzì, si veda l’inutile sequenza dell’occasionale incontro con Mastandrea), scrive, sempre con il fidato Francesco Bruni, in modo intelligente e scorrevole (ma qui ci sono alcuni elementi superflui o dispersivi come la vicenda che riguarda la madre malata e lontana della protagonista, l’inattesa svolta finale, fin troppo sopra le righe in un film che peraltro non fa già della misura il suo tratto distintivo, la voce fuori campo di Laura Morante), sa scegliere e dirigere gli attori come pochi (splendida la protagonista/scoperta Isabella Ragonese, ottima la Ferilli, incisivo Ghini, efficace Mastandrea), ha un occhio critico raramente banale o telefonato (emerge comunque un sospetto di qualunquismo). Purtroppo, rispetto alla gloriosa commedia all’italiana a cui il regista guarda con affetto ed esplicitamente richiamata dalle immagini di “C’eravamo tanto amati”, è radicalmente cambiato il mondo da descrivere. La società italiana è già così ridicola, macchiettistica e patetica di suo nella sua sfacciata arroganza, nella sua esibita ignoranza, nella sua avvilente superficialità, nella sua desolante omologazione e nel suo goffo esibizionismo che ritrovarsela rappresentata in un film, ridotta ad uno dei tanti reality urlati e sbracati che passano in tv, pur nei suoi toni veritieri, onesti, anche lucidi e feroci, lascia quasi indifferenti o forse, quel che è peggio, rassegnati. Probabilmente è solo un mio disagio personale, o più semplicemente la stanchezza/assuefazione nel (ri)vedere per l’ennesima volta il deprimente e squallido scenario sociale in cui viviamo, però un film come “Tutta la vita davanti”, al di là dei suoi innegabili meriti, non mi sembra riesca a sfuggire in pieno le trappole e le insidie di un cinema didascalico, fin troppo scritto e leggermente pretenzioso che vuole essere crudele e fedele specchio della realtà, ma rischia di risultare vecchio, superficiale e stereotipato, proprio come quell’Italia che sbeffeggia. E non è nemmeno troppo di consolazione l’idea, a dire il vero un po’ abusata, che la speranza possa essere riposta in anime pulite ed oneste come la giovane protagonista Marta, ben determinata a non farsi travolgere dal mediocre andazzo che la circonda. “Tutta la vita davanti” è un’opera superiore alla media del 90% dei film italiani, ma troppo furba, calcolata e fin anche ruffiana per convincere del tutto. Confesso che dal solitamente ottimo Virzì mi sarei aspettato qualcosa di più profondo e sfaccettato. Ennesima dimostrazione del fatto che bisognerebbe diffidare delle recensione troppo entusiastiche.
Voto: 6
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