Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Un film incentrato sulla tristezza e l'impotenza che covano dietro una rutilante ed energica patina di gioventù. La tristezza è la dura realtà di una vita strapazzata che non decolla, o comunque non va per il verso giusto, mentre l'apparente gioia è uno sfavillante artificio da quiz show applicato alla routine quotidiana. L'inseguimento di obiettivi ed ambizioni professionali, che dovrebbe essere il naturale e legittimo impegno di chi ha "tutta la vita davanti", è invece, troppo spesso, nell'attuale panorama occupazionale, uno sleale gioco al massacro, una spietata corsa verso un successo che, lungi dall'essere fonte di realizzazione personale, è solo un sapersi vendere al giusto prezzo, e che si compiace dell'ipocrita acclamazione della piazza. La legge della società è quella crudele dello spettacolo, quella che vede "tutti contro uno" a formulare verdetti sulla base del gradimento di una performance. Una vuota periferia di asfalto, plexiglas e cemento fa da sfondo alla rappresentazione di un concetto snaturato e disumanizzante di lavoro e collegialità, in cui l'efficienza è un valore a sé, disgiunto da qualsiasi criterio di qualità, utilità o moralità. Il film è sensibilissimo, e ricco di un'originale drammaticità, infinitamente lontana dalla cinematografia classica, ma ugualmente estranea agli insipidi stereotipi delle fiction. Ottimi i dialoghi, che propongono il linguaggio fantasioso e conciso tipico di certa letteratura contemporanea, con l'aggiunta di neologismi ispirati al mondo dei mass media. La televisione è un elemento portante della storia, in quanto esempio lampante di "doppia natura": le voci flebili del giornalismo di inchiesta e della satira di denuncia sono sovrastate dagli applausi e dai balletti dei varietà da prima serata. Virzì traduce le sue tesi sulla crisi dei giovani nell'Italia odierna in una fantasmagoria di situazioni surreali, anzi, sarebbe meglio dire "pseudo-reali", perché, a prima vista, del tutto credibili. Ciò fa però di "Tutta la vita davanti" un film ingannevole, che sarebbe pericoloso prendere alla lettera, e non solo per le generalizzazioni che potrebbe suggerire. La vita che copia la televisione è solo un luogo comune trasformato in monito, così come lo è – si spera – l’impietoso ritratto della generazione dei ventenni: i giovani, per carità, non sono questi, che diventano cattivi per troppo stress; l’onesta, coraggiosa ed appassionata Marta non è certo un’eccezione. Molti aspetti delle dinamiche del mondo accademico e del funzionamento dei call center sono clamorosamente falsati (a volte in chiave ottimistica), ma il pubblico impreparato può non accorgersene, così che il prezioso fondo di verità (la gerontocrazia negli atenei, la scarsa valorizzazione dei talenti, i ritmi lavorativi massacranti delle telefoniste e lo sfruttamento delle amicizie e parentele a fini commerciali) rischia di perdersi nel variopinto marasma di iperboli ed allegorie. Questo è, indubbiamente, un limite del film, che potrebbe pregiudicare un giudizio positivo. Quattro stelle date con riserva.
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