Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Ha un che di fantastico il film di Paolo Virzì: inizia con le luce soffuse e avvolgenti di un sogno onirico, con la protagonista che tutto d’un colpo vede la gente intorno a lei ballare coordinatamente. In realtà ben presto ci accorgiamo che il film è tutt’altro che in sogno, bensì un incubo che pare non avere che una fine inevitabile. È la storia tragica e buffa della palermitana Marta, laureata in filosofia con 110 e lode e onorata dall’abbraccio accademico dei vegliardi docente, che, lasciato perdere il ragazzo volato via negli Stati Uniti per fare il ricercatore, trova un lavoro part time in un call center dove ogni mattina si canta un delirante inno aziendale e l’apparente tranquillità nasconde invece personaggi mediocri, vite inutili, vicende disgraziate. È figlio del suo tempo Tutta la vita davanti, battuta che la mamma di Marta – una severa professoressa malata che fuma canne e legge l’Unità – ripete alla figlia per scacciare le sue disillusioni e titubanze.
Come in uno psicodramma collettivo, racchiude in se tutti i mali della nostra sciagurata società, prendendo il call center come emblema di un periodo storico nel quale il merito non è premiato e un frullatore multiuso completamente inutile ti viene appioppato da ragazzi vittime di un sistema contro il quale non possono porsi. È un film di perdenti, in cui a far la figura migliore è certamente la protagonista, a scapito di un’umanità di personaggi davvero poco raccomandabili. E se la caratterizzazione falsamente algida e intimamente insoddisfatta del grande capo Claudio (nome non casuale, che riecheggia i fasti di un impero) è tutto sommato un po’ scontata, come anche i lati oscuri e lucidamente folli della popolana telefonista inutilmente imborghesita Daniela, a farci le spese è anche il sindacalista CGIL Conforti (un nome che è tutto un programma), che sembra non riuscire a difendere realmente le istanze dei lavoratori precari e non ci fa proprio una bella figura come padre di famiglia – ma mi salva in calcio d’angolo. Nella sua tragica e sconsolata comicità – perché rimane la miglior commedia dell’ultimo decennio – è un film profondamente disperato, amaro e grottesco.
Grotteschi risvolti specialmente nel disegno della vita nel call center, con balletti aziendali, allucinanti premiazioni per la migliore del mese (quella che fissa più appuntamenti), quasi alla stregua del filone del reality show (e le citazioni del “Grande fratello” non sono affatto campate in aria e il parallelismo con questo call center ci sta tutto), umiliazioni terribili (l’epilogo di Lucio 2 è veramente toccante e patetico), piaggerie verso miti viventi (Claudio, Daniela), telefonate una volta piacevoli, una volta drammatiche. Certo Virzì non condanna, non è sua competenza deplorare quel mondo verso il quale tuttavia prova un sentimento di repulsione: illustra la situazione, rappresenta una realtà. Ma un pizzico pesante di critica dura ti giunge alla mente quando v’è, per esempio, l’ingresso fuori campo della voce della vecchia signora Franca, la nonna di una ragazza morta suicida perché non trovava lavoro. È l’evoluzione più radicale e impegnata della commedia all’italiana, erede della tradizione di Ettore Scola – omaggiato con alcune scene tratte da quello che, per chi scrive, è un capolavoro assoluto del cinema italiano, C’eravamo tanto amati – e rivolto ad una critica di costume acuminata e spiritosa. E allora, citando il film di Scola, “volevamo cambiare il mondo, invece è il mondo che ha cambiato noi” non vi pare sia una frase azzeccatissima anche per il film di Virzì? In cui, proprio per non gettare tutti nella disperazione e donare un po’ di speranza, lascia che Doris Day canti Que sera sera.
Insomma, Virzì firma il suo capolavoro grazie ad uno script formidabile scritto assieme al fido Francesco Bruni e affidandosi ad un cast superlativo. Isabella Ragonese emana luce chiara e limpida ed è uno dei volti più interessanti usciti negli ultimi tempi, così come la sorprendente, tormentata e disperata Micaela Ramazzotti, meravigliosa anche nelle situazioni più drammatiche, pura finanche in una nudità pulita che non sconfina mai nella volgarità. E se l’eccellente Valerio Mastandrea arricchisce la sua galleria di personaggi con questo sindacalista non proprio perfetto a cui regala quel tratto inconfondibile che lo rende inimitabile, il già grande Elio Germano conferma il suo primato tra gli attori giovani con un ruolo nevrotico e teso, sottilmente grottesco. E poi l’ottimo Massimo Ghini al top della forma, viscido ed arrivista. E Valentina Carnelutti e Paola Tiziana Cruciani. Ma soprattutto una fantastica Sabrina Ferilli, strepitosa nella caratterizzazione più crudele e terrificante del suo repertorio fino ad oggi, piena di eroine altruiste e popolane dal cuore d’oro, la capo telefonista che nasconde un lato di se oscuro e lucidamente folle, terribilmente velata da un barlume maligno e squilibrato.
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