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Tutta la vita davanti

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Tutta la vita davanti

di ROTOTOM
6 stelle

Precario tu sia benedetto, perché grazie alle tue ore pagate un cicciolo, le tue difficoltà di sopravvivenza, il marchio istituzionale di sfigato sociale, c’è tutta una serie di lavoratori che da te ha tratto nuova linfa per il proprio benessere. Il produttore cinematografico. Il neo- neo realismo (ora, ad ogni epoca impietosamente fotografata dal cinema aggiungeremo un “neo”) dei giovani che non hanno davanti le due “g” veltroniane-morettiane e che stentano per contratto ha fatto breccia nei cuori di tutti. E Virzì, guarda un po’ reduce dal mezzo flop di N-io e Napoleone, film personale e sganciato da logiche di marketing, è stato evidentemente “consigliato” di prendere la palla al balzo, accantonare i pregiudizi verso le ospitate televisive, sorridere, e pregare di non diventare anche lui, un precario sulle agende di chi fornisce i mezzi e i soldi per l’arte. Sono cattivo. Lo so. Ma tant’è, ecco una storia che tanto prende dalla mitologia commercial-criminale della “Tucker e i ragazzi del tubo”, con tanto di vessazioni e umiliazioni corporali annesse in caso di non produttività, calata nell’universo precario per eccellenza, i Call Center d’assalto, mettendo una bella rossa in competizione con un nudo integrale di una bella bionda Marylin de noantri e in mezzo un Mastrandrea faccia da CGL in bici e scucchia a fare audience. C’è più bisogno di filosofi che di venditori e per avere successo nella vita bisogna seguire la danza, omologarsi, danzare a tempo e da qualche parte arriverai. Il film si apre con una danza collettiva sogno di indipendenza di Marta laureata in filosofia che non vede l’ora di ballare anche lei. Prosegue con una danza quotidiana nell’ufficio Call Center in cui la super manager motivatrice Sabrina Ferilli in tette e microfono spolvera il suo romanesco da Grande Raccordo Anulare uscita Casal Palocco e carica le ragazze che dovranno prendere appuntamenti per i venditori che dovranno piazzare un elettrodomestico inutile ad un prezzo decine di volte superiore al suo reale valore e che gli sprovveduti clienti dovranno pagare per mantenere intatto quello status quo fatto sempre meno di status e dove quo non altro che l’ennesimo paperino smarrito in cerca dei suoi fratellini, qui o qua. Non si sa, gente smarrita tenuta vigorosamente lontano dai propri diritti, uniti per smorzarne le depressioni e in competizione per non ammettere pericolose coalizioni, è storia nota. Finirà tragicamente ma questo poco importa, poiché la tragedia riguarderà i cattivi ed è solo funzionale alla chiusura del film, il sindacato vince, Mastrandrea si è fatto la bonazza svampita e lei lo sfigato ma pensando con la propria testa riuscirà a trovare la propria strada. Il film si chiude con un balletto corale di tutti i protagonisti, in cui tutti vanno a tempo tranne, guarda un po’, i vecchi matusa della facoltà di filosofia ognuno dei quali segue un tempo privato. Il messaggio è chiaro. Chiarissimo, anzi di più. Commedia nera e semplice che caratterizza macchiette di uno spessore accettabile coinvolti in situazioni accettabili, ritratto degli ultimi in classifica, né cattivi né buoni, umani con umane contraddizioni. Ironia stemperatrice di momenti scuri (cancro della mamma-cannetta), Elio Germano e Micaela Ramazzotti colti in evidente overacting, l’uno con baffetto da sparviero e l’altra con pube al vento, ma sempre pelo è, mentre la voce off che racconta la storia e che non si sa chi sia, rimarca e ribadisce pesantemente situazioni già di per se chiare nella forma e nella sostanza e che pare messa lì per soddisfare quel pubblico disattento da teleutente del Grande Fratello, quello che paga mangia e se ne va senza farsi tante domande. Il Grande Fratello è presente in maniera massiccia, nel film di Virzì, come emblema di un istupidimento latente che riempie come silicone spray le menti delle persone gonfiandosi all’interno del cervello e bloccandone le capacità cognitive, le stesse dinamiche della società si rinnova a suon di “eliminazioni” e nuovi arrivi tipo le dinamiche dei reality ma la critica è telefonata, scontata come un prodotto del Lidl a 9,90€ il pezzo, come è pedestre qualsiasi altra forma di critica sociale forte del meccanismo peccato-espiazione che risolve i nodi narrativi con semplice formalità. L’operazione è chiara, è in linea con i tempi, è divertente a tratti ma non si può dire di essere di fronte ad una commedia di spessore, più che altro ci si imbatte in una farsetta grottesca di caratteristi che abbina alla forma simpatica temi di scottante attualità. Quando il cinema cavalca l’onda dell’ indignazione popolare e della cronaca ha vita breve, perché una volta passata l’indignazione anche il film si perde nella memoria e si sfalda all’istante come un vampiro al sole dopo che ha succhiato un po’ di linfa dalla vittima di turno. Si registra una buona Ferillona, il solito Mastrandrea stavolta idealista e ipocrita, la protagonista Isabella Ragonese rossa e intensa e la Roma periferica, avveniristica e aliena, isolata dall’iconografia della capitale come un set di un reality in cui accadono cose fuori dal mondo. C’è bisogno di filosofi, meno di architetti.

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