Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Voglio premettere per chi mi sta leggendo che questa mia recensione non potrà che essere "partigiana", dato che mi considero da sempre supporter ed estimatore di Paolo Virzì e del suo modo di fare cinema. Questa pellicola poi (e questo non lo dico io ma è un giudizio che ho colto in rete già in 4 o 5 recensioni) rientra decisamente fra le sue opere piu' riuscite. Il suo stile non è assolutamente innovativo, anzi è piuttosto tradizionale, ed è collocabile nel solco della miglior commedia all'italiana. E questo è un discorso che ci porterebbe lontano, ma forse vale la pena di affrontarlo. Si parla di un cinema che oggi nessuno o pochi vogliono piu' fare, anzi per meglio dire c'è chi lo fa (a scadenza annuale) e ci si è pure arricchito, ma non è che la pallida ombra dei modelli a cui ci si vorrebbe richiamare. Ci sono registi, attori e sceneggiatori che hanno fatto grande il cinema italiano nel ventennio 60/70, praticando una lettura attenta della società italiana, in chiave agrodolce, raccontandone i vizi congeniti e le deviazioni sociali, quasi sempre ricorrendo ai toni grotteschi della commedia. Zampa, Salce, Germi, Monicelli, Risi...sono i primi nomi che mi vengono in mente fra i registi (ma ce ne sono altri, in questo momento vittime dei miei vuoti di memoria), mentre fra gli attori è chiaro che il riferimento è a quei 4 autentici Giganti che erano i soliti Tognazzi, Sordi, Gassman, Manfredi. Si tratta di attori e registi che sapevano miscelare con geniale sapienza il registro drammatico e quello comico nei loro film, dando vita ad opere che intrattenevano lo spettatore raccontandogli com'era l'Italia di quegli anni. E proprio questo è il punto: riuscire a narrare il proprio Paese e il proprio Tempo, evitando intellettualismi, arzigogoli e simbologie o narcisismi autoriali, utilizzando un linguaggio diretto e popolare contaminandolo con dosi adeguate di ironia ed evitando le facili incursioni nel pecoreccio. A titolo di esempio, faccio i nomi di due titoli a caso, e neanche i piu' significativi: "I mostri" e "Il sorpasso". A ben vedere, oggi gli eredi di quel filone ci sono eccome, ma sono figli degeneri che ne hanno completamente snaturato i contenuti e gli intenti. Parliamoci chiaro: oggi a raccontare vizi e difetti degli italiani sono rimasti i Vanzina e Neri Parenti. Il problema è che la caricatura del Paese che loro mettono in scena è troppo rozzamente compiaciuta, totalmente priva di quello sguardo, disilluso sì ma anche amaro, che sarebbe necessario. I film di questi signori sono, nella migliore delle ipotesi, una "presa d'atto" che gli italiani oggi sono quei cafoni che vanno in vacanza in un paese piu' o meno esotico e là cercano goffamente di trombarsi la bonazza di turno, fra un peto e un rutto. Ora io mi domando: "possibile che questo sia il SOLO modo per raccontare l'Italia agli italiani?". A parte poi la triste constatazione che gli italiani sembrano riconoscersi nell'indole con cui vengono rappresentati, visto che puntualmente decretano il successo al botteghino di questi prodotti. Certo, immagino già l'osservazione che esistono anche giovani registi, ma è gente come Sorrentino (senza voler entrare nel merito dei giudizi artistici) che rappresenta una sorta di pretenziosa èlite autoriale, mentre io qui stavo parlando di "artigiani" della commedia, di autori capaci di realizzare un cinema davvero popolare e di buon gusto. E registi con questi requisiti, se mi guardo intorno, non ne vedo altri oltre a Virzì. Prendiamo questo film: si adatta perfettamente al mio discorso. Vi si affronta un tema assolutamente primario, quello dei giovani rispetto al mercato del lavoro. Virzì riesce ad essere feroce nella sua rappresentazione di quell'arena spietata che oggi è il mercato del lavoro, ma lo fa a modo suo. Intanto lo fa senza simboli e senza intellettualismi, utilizzando personaggi veri, credibilissimi, con un'anima e una sostanza. Poi è molto sottile (anche piu' di quanto non appaia) nel raccontare le deviazioni dei comportamenti umani, quelle storture che -riferite a determinati modelli sociali- sono divenute ormai regole acquisite, tipo la dedizione esagerata al lavoro vista come suprema virtu' e mezzo primario della realizzazione di sè, quando in realtà questo sovrapporre le esigenze dell'azienda alle proprie necessità personali rappresenta proprio l'opposto, cioè la negazione della propria dignità. Sono discorsi e temi di enorme rilevanza sociale, che Virzì affronta con tocco leggero, esasperandone i contorni quì e là in chiave grottesca, ma sempre con la consapevolezza dell'artista popolare che lavora "respirando" i tempi e la società in cui egli si muove. La figura di questa Marta protagonista del film è una di quelle in cui ogni giovane appena uscito dal percorso universitario puo' riconoscersi, col suo sbattere la testa contro un meccanismo perverso, spietato e cinico, che le favolette sulla flessibilità come panacea a tutti i mali hanno contribuito a consolidare, e a rendere unico modello possibile, col contributo tecnico di politici ed eminenti giuslavoristi che ci vorrebbero tutti o allegramente flessibili oppure, in alternativa, dei "morti che camminano". Il dramma umano di Marta alle prese prima con la ricerca d'uno straccio di lavoro e poi con le allegre degenerazioni del lavoro medesimo, è narrato in forma lieve di commedia e quasi col ritmo vivace di un musical (e a proposito di musical c'è una bella sorpresa sui titoli di coda!). Quello che piu' traspare di amaro da questa commedia è la scelta obbligata che la Società impone, senza alternative, se essere Vincenti o Perdenti; e se non si sta a questo gioco, o se non si sceglie di essere Vincenti (cioè di non farsi Guerrieri che combattono giorno dopo giorno per conseguire gli obiettivi sempre piu' impossibili che l'Azienda impone) l'alternativa è una soltanto: l'Umiliazione. Ed è il destino che tocca alle colleghe di Marta che non riescono a stare al passo: vengono eliminate, come tanti personaggi di uno squallido reality che vengono sbattuti fuori da un "teatrino" televisivo. E dal film deduciamo anche che chi sta ai vertici di questi meccanismi, come la Daniela e il Claudio della nostra storia, in realtà sono spesso persone che sfogano come possono i loro problemi di frustrazione, anzi li definirei tout-court delle semplici teste di cazzo. Geniale l'inizio surreale del film, con la gente che balla per strada al ritmo dei Beach Boys. Ed altrettanto geniale la chiusura in stile "musical" sulle note (magiche!) di "Que sera sera". E adesso concluderei con un cast semplicemente perfetto. Innanzitutto questa splendida rivelazione che si chiama Isabella Ragonese: una bellezza non appariscente la sua, ma che buca alla grande lo schermo, un'attrice deliziosa che oltretutto ispira anche istintivamente simpatia. Sabrina Ferilli è perfetta in un ruolo a cavallo fra la nazista e l'animatrice di villaggio turistico. Massimo Ghini funziona in una interpretazione calibratissima. Elio Germano (che pare abbia assunto il dono dell'ubiquità, tutti lo vogliono tutti lo cercano) in un ruolo breve ma emotivamente molto intenso che ne evidenzia la versatilità. Seconda rivelazione del film è Micaela Ramazzotti, nella parte non facile di una donna fragile e sfortunata, che butta via la sua vita, esibendo la sua bellezza sfrontata, ma che in realtà nasconde drammatici problemi psicologici. E, per ultima, una delle note piu' liete del film: un Valerio Mastandrea qui in una delle sue prove migliori, impregnata di quieta malinconia, a dimostrare che il "soggetto" quando si affida a registi validi riesce ad esprimere il suo talento (peccato che non succeda spesso). A quest'ultimo proposito, comunque, si sa che Virzì ha in generale questa capacità speciale a dirigere i suoi attori. Ma soprattutto possiede un intuito formidabile nel fiutare volti nuovi da scegliere come protagonisti di ogni suo nuovo film: prima della brava Ragonese, era stata la volta di Edoardo Gabbriellini per "Ovosodo", di Corrado Fortuna per "Tanino", della giovane Alice Teghil per "Caterina va in città".
(PS 1): c'è ad un certo punto una battuta pronunciata dalla Ferilli che mi ha fatto venire i brividi dall'indignazione...quando lei dice (per sottolineare lo status sociale raggiunto) "pensa che a quest'ora potevo stare in un ospedale a pulire il culo ai vecchi": ecco, io in questa frase ho individuato un disprezzo per gli altri addirittura imbarazzante.
(PS 2): nello staff tecnico del film, troviamo anche Carlo Virzì (fratello di Paolo) che a suo tempo fu protagonista di una stagione del rock italiano, in veste di cantante-chitarrista del gruppo livornese degli "Snaporaz".
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