Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film
Haze è un mediometraggio giapponese del 2005; scritto, diretto, montato, fotografato ed interpretato da Snin'ya Tsukamoto.
Sinossi: Un uomo (Tsukamoto) si risveglia in un cunicolo labirintico totalmente oscuro; ben presto si accorge di essere stato probabilmente rapito ed imprigionato in una specie di prigione sotteranea degli orrori tra corpi mutilati ed strani rumori metallici: l'uomo malmesso e ferito proverà a liberarsi...
Tsukamoto fin dagli albori della sua carriera (pensiamo al corto The Phantom of Regular Size del 1986: //www.filmtv.it/film/122824/the-phantom-of-regular-size/recensioni/933197/#rfr:none) ha mostrato e continua a farlo una certa libertà linguistica e contenutistica difficili da riscontrare nel cinema contemporaneo (non a caso è considerato uno dei padri del nuovo cinema giapponese) e con Haze l'eclettico genio creativo di Tokyo ritorna a presentarci alcune affinità con la sua poetica degli esordi (dal già citato The Phantom per arrivare all'immancabile Tetsuo, primo lungometraggio del cineasta), dopo aver esplorato nuovi lidi autoriali con A Snake of June del 2002 oppure Vital del 2004.
Questo progetto prende corpo grazie al Festival coreano Jeon Film Filmaker che ogni anno tramite il progetto Digital Short Film by Three Filmakers commissiona a tre registi (quasi sempre asiatici) un cortometraggio a testa da presentare in anteprima mondiale durante la kermesse con un budget di 50000 $ a corto. Nell'edizione del 2005 insiame a Haze di Tsukamoto, furono prodotti Magician(s) di Song Il-geon e Worldly Desires di Apichatpong Weerasethakul.
L'inzio di Haze è enigmatico e conturbante con un uomo che si risveglia in luogo tetro, angusto e claustrofobico; ben presto dovrà letteralmente lottare per sopravvivere ed in particolare modo, pur non verificandosi una certa mutazione del corpo (elemento chiave del primo Tsukamoto) è possibile individuare un certo legame tra la carne, il metallo ed una atroce sofferenza (l'uomo dovrà aggrapparsi con i denti ad un tubo metallico per rimanere in equilibrio e non cadere nell'oblio).
Una sofferenza brutale assolutamente non fine a se stessa nonostante ci vengano proposte immagini deliranti ed orrorifiche (pozze d'acqua in cui budella, sangue e corpi mutilati abbondano), infatti il protagonista attraverso il confronto con il dolore (altro topos chiave per l'autore che lo accomuna anche a Takashi Miike) riesce in parte a ricordare alcuni aspetti della sua vita passata e soprattutto a comprendere un significato per lui importante (l'amore verso la sua compagna).
Inoltre questo labirinto, almeno in un primo momento, può essere interpretato come una metafora della riduzione dell'uomo a ingranaggio produttivo; il protagonista infatti non ricorda nulla del suo passato e questo potrebbe alludere alla spersonalizzazione del giapponese medio di fronte al capitalismo e alle opprimenti convenzioni sociali tipici del giappone (riflessioni già proposte in passato dal regista).
Anche in Haze come in altri capolavori del regista, pensiamo a Tokyo Fist (//www.filmtv.it/film/17933/tokyo-fist/recensioni/925475/#rfr:none), sarà l'incontro con una persona particolare, in questo caso una donna, a determinerà un'evoluzione del protagonista, a spingerlo fuori dall'apatia e provare a lottare per conquistarsi la salvezza.
Un altro aspetto interessante del'opera è l'accennato ma significativo elemento simbolico; Tsukamoto in alcuni frangenti sognerà ad occhi aperti una carpa koi, animale fondamentale per la cultura giapponese in quanto simbolo di perseveranza, oltre ad essere apprezzata per la sua natura anticonformista in quanto è in grado di nuotare controcorrente ed il tutto richiama la carriera stessa dell'autore. La carpa è inoltre evocativa della fedeltà del matrimonio alludendo al profondo legame tra Tsukamoto e la misteriosa donna; legame che verrà in qualche modo confermato nel sublime, criptico, quasi metafisico ed incredibilmente poetico finale.
In Haze risultano determinanti anche i lunghi silenzi dei due soggetti; il film infatti è quasi muto ed a prevalere sono gli ansimi di Tsukamoto e della donna uniti ad alcuni minacciosi rumori metallici che amplificano notevolmente la suspense con lo spettatore che si aspetta da un momento all'altro un jumpscare (lo stesso protagonista mentre avanza si volta a più riprese per paura di essere attaccato) che in relatà non si verificherà mai (genialata del regista).
Infine due considerazioni sulla regia; Tsukamoto rirpone il suo stile ansiogeno ed epilettico ma il montaggio martellante e serrato (suo marchio di fabbrica) viene sostituito da frenetici e lunghi movimenti di macchina della shaky camera (ha usato una Panasonic DVX 100) tuttavia verso il finale quando sembrerà tutto finito ricompare un montaggio assai rapido e compulsivo.
Ottimi anche i vari particolari tra cui impossibile non evidenziare il primissimo piano sull'occhio con cui si apre l'opera, soluzione alternata allo schermo nero e poi seguito da un'assillante musica industriale (altro elemento amato dal regista).
Haze è un'esperienza cinematografica unica ed incredibilmente stratificata nonostante duri solo 49 minuti.
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