Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
L'enciclopedismo narrativo con cui Greenaway inaugura il suo cinema è una premessa indispensabile alla sua concezione della comunicazione per immagini: il messaggio, per imporsi, deve seguire le stesse modalità secondo cui l'evento reale si fa notare e diventa un fatto. La ripetizione, la moltiplicazione degli esempi, l'accumulo di indizi e di tracce simboliche sono i criteri che promuovono l'esperienza individuale a verità acquisita. Mettersi in mostra o raccontarsi non è abbastanza per essere creduti: tant'è vero che l'"evento violento ignoto" non passerà alla storia per i suoi tratti intrinseci (per altro sconosciuti), bensì per la quantità e la rilevanza degli effetti prodotti su una gran folla di persone di ogni genere. Tuttavia, se la pluralità delle testimonianze è necessaria a fare testo, solo la convergenza su un tratto comune può sancire la legge universale che definisce il concetto nuovo. Gli "uccelli" e la "caduta" sono, in questa ridda di singolari biografie, i due elementi onnipresenti. L'uomo che si ammala all'improvviso, assumendo le caratteristiche fisiche di un volatile, è la quintessenza della tragedia alla Greenaway, in cui la mutazione/ibridazione fisica è il corrispettivo della catarsi morale. Perdere sotto il profilo dell'umanità (ossia "cadere" socialmente, diventando invalidi o reietti) non significa per forza essere sconfitti nel quadro della propria storia personale: è proprio il fallimento (e giammai il successo) a produrre in noi quel cambiamento senza il quale non è pensabile poter crescere e - ciascuno a modo suo - mettersi a volare.
Dal punto di vista cinematografico, "The Falls" è un capolavoro di tecnica visiva, per la maestria con cui sa imitare i più comuni stili del documentario; ma, soprattutto, è un energico risveglio per noi spettatori, che, a ben vedere, siamo proprio creduloni, se è vero che di norma basta una singola battuta, per lo più inventata, per farci sprofondare nel beato sonno di un'incantevole illusione.
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