Regia di Louis Nero vedi scheda film
Louis Nero fa un cinema scomodo e poco malleabile. Ha provato a percorrere la sua strada tutt'altro che facile accettando pochissimi compromessi. Estremo nelle scelte, nelle prima fase della sua carriera, ci ha regalato un bel trittico di titoli dedicati al linguaggio cinematografico ("Golem", incentrato sul rapporto fra video-arte e inquadrature; "Pianosequenza" racconto delle frustrazioni di uno scrittore; e "Hans" toccante messa in scena dell'iter patologico di uno schizofrenico) che il sistema ha rifiutato in toto e quasi nessuno ha visto.
Nel 2007 essendo riuscito a racimolare i crediti per una sua nuova pellicola, credo che abbia avvertito, nello scegliere la storia da filmare ("La rabbia", di cui parlo in questa circostanza), la necessità di levarsi qualche sassolino dalla scarpa.
Ne è uscito fuori un film di denuncia, un'opera che è un vero e proprio atto d'accusa verso l'industria della celluloide, chiusa dentro se stessa e schiava della società consumistica, al servizio escusivo del dio denaro.
In apparenza dunque un plot meno cervellotico e problematico dei precedenti per altro supportato da un assortito cast internazionale di tutto rispetto che, passando per Philippe Leroy, Faye Dunaway, Corso Salani, Corin Redgrave, Arnoldo Foà, Lou Castel e Tinto Brass, arriva a Franco Nero che veste i panni del mentore del regista.
Un film sicuramente molto sentito, ma come spesso accade in questi casi, anche abbastanza confuso nel suo voler dire tutto e subito anche se si avverte feroce, la rabbia di chi ha sperimentato sulla sua pelle che nel cinema non bastano purtroppo le idee, se poi non si hanno i soldi per realizzarle. Questo è infatti ciò che pensa il protagonista della pellicola, sballottato da un produttore all'altro nella speranza che il suo sogno non debba restare chiuso per sempre in un cassetto.
Voglia di riscatto, entusiasmo, sofferenza e molta frustrazione, sono dunqueì gli stati d'animo privilegiati di questa personale via crucis in cui il regista credo rifletta molto di se stesso, messi in scena però con una eccessiva e un po' disequilibrata alternanza fra realtà e dimensione onirica, che rende abbastanza farraginosa la comprensione, fin dalla scena iniziale che si apre su un giovane (che scopriremo poi che è questo regista o aspirante tale) che cammina nel buio su una spiaggia. I suoi passi lenti e incerti, sembrano accompagnare uno stato d'animo turbato da chissà quali eventi, ma l'apparire improvviso di un vecchio che l'uomo riconosce subito nel nonno, morto da molti anni, ci fa comprendere subito che siamo nella dimensione del sogno di questo giovanotto alle prese con un unico e quanto mai agognato obiettivo, quello appunto di realizzare un film.
Sono così gettate le basi di quello che sarà poi tutto il percorso programmatico della pellicola, che si connota come un viaggio onirico verso il raggiungimento del proprio fine, che rischia a tratti di confondere lo spettatore
Nero dunque vira in questa circostanza verso un tipo di cinema più ortodosso (e sopratuttto più commestibile) rispetto ai sui lavori precedenti, ma il risultato (come esito complessivo e apprezzamenti) sarà per lui purtroppo altrettanto deludente, ed è un vero peccato perchè le qualità ci sarebbero e forse è proprio la storia - troppo banale - la vera palla al piede.
Ad essere interessante rimane così solo lo sfondo dell'azione: un mondo notturno, fumoso, labirintico e quasi spettrale che rende ancor più angosciante lo scorrere degli eventi.
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