Regia di Louis Nero vedi scheda film
Opera quinta di Louis Nero, torinese, classe 1976, laureatissimo al Dams con una tesi su Greenaway. E si vede: esteta di un cinema d’ispirazione pittorica, nemico dichiarato della narrazione che non sia espressione concettuale. Indifferente alle mode e ai modi del cinema commerciale, per questo autore coerente nello stile. Che cita Magritte (ci sono gli uomini con la bombetta di Golconda), che mira a definire l’indefinibile con tocco surrealista, che cesella ogni inquadratura con meticolosità. L’inizio è felliniano, un lettone in riva al mare. La messa in scena è teatrale, onirica, molto colta. Pure troppo. «Il tuo progetto è interessante, anche se penso di non poterlo apprezzare pienamente: è una questione di coinvolgimento emotivo», dice il mentore Franco Nero al discepolo regista, rubandoci i pensieri e le parole. È del giovane la rabbia del titolo, autore incompreso dal mercato e forse anche da se stesso. «Autocombustione mentale», spiega il suo sceneggiatore. Sospiri, silenzi. Un sorso di vino. «Questa roba non si vende», avverte Tinto Brass nel ruolo del produttore. C’è uno spazzino esistenzialista (Lou Castel): «La scopa è lo strumento del mio volere». Poi Giorgio Albertazzi, Arnoldo Foà, la Dunaway. Viene in mente Lucio Battisti: «C’è anche lei» (Al cinema, 1978).
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