Regia di Tim Burton vedi scheda film
Sweeney ha lo sguardo perso altrove, gli occhi fissi sulla lama di rasoio, sul riflesso del suo volto nella mezzaluna di metallo. Negli occhi ha la catatonica fissità di chi si nutre di un’unica immagine, ossessiva e infinita: ed è l’immagine della vendetta. Londra, XIX secolo: il barbiere Sweeney Todd torna in città dopo aver scontato quindici anni di prigione. Mentre era rinchiuso il Giudice Turpin gli ha concupito la moglie e rapito la figlia, distruggendogli la vita. Sweeney riapre la sua vecchia bottega da barbiere e con l’aiuto di una losca locandiera, aspetta il momento in cui il Giudice verrà a sedersi sulla sua sedia… Dopo La sposa cadavere Tim Burton porta al cinema il musical di Stephen Sondheim del 1979 (a sua volta basato sulla leggenda metropolitana del barbiere assassino) e per la sesta volta chiama Johnny Depp a dare corpo alla sua immaginazione. Le orbite scavate nel nero, la smorfia rigida sotto il pallore, guardi in faccia questo grande attore e vedi tutti i film di Burton che si rincorrono nell’abisso della memoria e quasi pensi di perderti e di caderci dentro. Al suo fianco, Helena Bonham Carter (nella parte di Mrs Lovett, la locandiera) è un’eroina sfinita e melodrammatica, un po’ cartone animato, bambolina di pezza e di stracci, scheletro di polvere e di gesso. «La vita è per i vivi», canta Mrs Lovett. Ma Burton filma la grandiosa danza macabra del cadavere, ascolta la musica del sangue e il suo inno alla gioia mai è stato più cupo: se una volta i suoi malinconici freaks erano antieroi che vivevano in contrapposizione alla società crudele dei “normali”, ora non c’è più differenza tra le sue creature e il resto del mondo. Livellate le differenze, resta un inferno popolato di morti, tutti a scontare la colpa della cecità e del sangue. Un film colmo. Colmo di musica, di amore, di carne e di fantasmi. Che ora si fa evanescente, si scolora nell’acqua e nel fumo, ora si addensa nel colore e si raggruma nei corpi. Non penso si possa volere di più.
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