Regia di Tim Burton vedi scheda film
Tim Burton ritrova in Sweeney Todd la realizzazione ideale della sua marca stilistica. Paradossalmente, dopo averci così ben abituato alle sue dolci favole dark (ad eccezione di qualche gradita deviazione di percorso come Big Fish), ritorna al “genere” che più gli è congeniale – reinventandosi completamente. Fa subito capire il tema gettandoci in una Londra fine-ottocentesca che più tetra non si può (strameritato l’Oscar al grande Ferretti), mentre il sadico Johnny Depp/Todd rivela le sue intenzioni intonandole in un British impeccabile. Dopodiché la storia si svolge senza divagazioni, veloce e bramosa come la voglia di vendetta di un barbiere incarcerato ingiustamente per quindici anni, il cui unico torto era la felicità in compagnia di una donna stupenda. Tornato a Londra, riapre bottega presso la trattoria della vedova Lovett, innamorata di lui. E così i rasoi d’argento diventano i suoi amici più intimi, radono e tagliano gole, spuntano baffi e versano sangue, alla ricerca disperata dello spietato giudice responsabile del suo imprigionamento e del rapimento di sua figlia.
Burton dirige il film più violento della sua carriera, dove sangue posticcio, carne, morte e cadaveri danno linfa all’opera e agli occhi sbarrati e disperati di Todd. Sarebbe stato facile scivolare nel banale e retorico, ma il regista riesce a donarle un’autentica aura artistica, grazie alla lieve sfumatura ironica ed evitando l’overload emotivo del mèlo. I frequenti stacchi musical si armonizzano e contrastano con la violenza inscenata in modo eccezionale: l’effetto è straniante quanto travolgente. Da menzionare il montaggio rapido in cui Todd massacra la sua clientela intonando un’intensa canzone d’amore per la figlia, o il balletto romantico tra il barbiere e la signora Lovett sulle note del macabro progetto dei pasticci di carne. Alla vendetta si sovrappone l’amore, che a seconda di chi colpisce, può rinvigorire o devastare: è proprio questo a far precipitare la situazione e a rendere maledetta la storia di Sweeney Todd. Entrambi rendono ciechi e costringono a compiere i gesti più terribili. Burton mostra tutto questo con lucidità e freddezza, senza indagare il calore delle passioni; e inscena il loro stretto legame con i due generi che meglio li rappresentano, l’horror e il musical. In definitiva, in tempi di remake e sequel, una rosa nel deserto.
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