Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Il dottor Adrian Tripod è il direttore della Casa della Pelle, una clinica dermatologica a cui si rivolgono pazienti facoltosi per curare gli effetti collaterali di un massiccio uso di cosmetici. All’inizio della storia la struttura appare ormai in declino, con un esiguo numero di ricoverati ed un personale medico ormai ridotto all’osso. Una malattia mortale, legata ai prodotti di bellezza, ha infatti sterminato l’umanità, azzerando la popolazione femminile in età fertile. I pochi uomini sopravvissuti sono in preda a strane forme paranoiche, a cominciare dal primario Antoine Rouge, ideatore di stravaganti teorie evoluzioniste, che un giorno, di punto in bianco, fa sparire le sue tracce. A Tripod non rimane allora che cercarsi un’altra occupazione, in un mondo irriconoscibile, in cui ogni perversione sembra diventata ammissibile.
Dal precedente Stereo (1969) Cronenberg riprende, arricchendolo di nuovi punti di vista, il tema dell’inquadramento scientifico della perversione: un approccio che sa di filosofia malata, e si traduce, concretamente, in un mondo in cui la follia è in parte l’opera di agenti patogeni, in parte una degenerazione del progresso tecnologico, in parte una razionale strategia di sopravvivenza di fronte ad una catastrofe. L’aberrazione è, in ogni caso, un concetto anomalo, ma dominante, che si concretizza in forme mostruose, che possono essere fisiche, come la mutazione, la malattia e la morte, oppure psicologiche, come il dolore e la paura, o morali, come la violenza che sparge sangue o mette in pericolo l'innocenza.
La città del futuro, che si presenta, ancora una volta, con le sue architetture essenziali e squadrate, è la sede di un pensiero talmente astratto da essere immemore della stessa umanità, tanto da sostituire, al ricordo della vecchia normalità, la proiezione verso un domani in cui i territori della mente sono destinati ad estendersi oltre ogni concepibile confine: vengono così a cadere le tradizionali distinzioni tra le discipline di studio (dando vita, ad esempio, alla oceanografia podiatrica) ed anche la separazione tra il mondo delle cose ed il mondo delle idee (dando senso all’istituto dell’import-export metafisico). Tale fusione, nel particolare contesto di questo film, sembra quella operata da un universo che, in seguito ad una devastazione di proporzioni apocalittiche, si stringe intorno alle scarse risorse ancora disponibili, unendo le forze residue in combinazioni di fortuna, dettate dalla necessità, e certamente impensabili prima di allora. L’ibridazione, che è il principale leitmotiv nella cinematografia di Cronenberg, assume qui la veste di un connubio di emergenza, che, nel caso specifico, a fronte della totale mancanza di femmine adulte, suggerisce l’idea di una donna-bambina, costruita in laboratorio, per garantire la prosecuzione della specie, o induce un uomo, per autosuggestione, a trasformare il suo corpo in un'incubatrice di nuovi organi. Crimes of the Future è, dunque, un visionario compendio di tutto ciò che, nella poetica di Cronenberg, è manifestazione di un’energia creatrice: una potenza occulta che sfonda le pareti del reale, e la stessa carne umana, per infrangere, nel quadro della vita quotidiana, i convenzionali contorni della percezione sensoriale e della categorizzazione logica.
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