Regia di Walter Hill vedi scheda film
Erano passati quattro anni dall'ultimo film di Walter Hill ("Undisputed"), che avevo trovato senz'altro godibile, ma in cuor mio sapevo che da questo regista c'era da aspettarsi molto di più; speravo quindi in un ritorno, che si fece attendere e quando giunse mi lasciò perplesso.
"Ma come?" Mi chiesi "un valido regista come Walter Hill ha fatto un film per la televisione?". Non nascondo che fossi perplesso, ciononostante lo guardai pieno di fiducia grazie a svariati elementi che mi facevano ben sperare quali:
Robert Duvall nel ruolo del vecchio cowboy (che già avevo apprezzato in"Open Range") e il ritorno al western senza scomodare Kurosawa o Leone ("Ancora vivo" non mi aveva pienamente convinto).
Il risultato? Una delusione, a cui cercherò di dare spiegazione come meglio posso.
Come ben sappiamo, se c'è una persona che possa ritenersi il degno erede di quel geniaccio di Sam Peckinpah, sia per messa in scena che per tematiche, costui è proprio Walter Hill.
In questa pellicola, purtroppo, tutto ciò che abbiamo apprezzato dello stile di Hill è assente: scordatevi la violenza nuda e cruda e il montaggio frenetico, qui la fanno da padroni i piani sequenza e un viaggio che non si conclude mai in sparatorie, ma piuttosto riflessioni e pensieri nostalgici.
Non per forza un cambio così drastico di linguaggio cinematografico deve essere visto come negativo, anzi, ben venga se il regista riesce a gestire più forme d'espressione; peccato che Hill non si trovi per nulla a suo agio a dover dirigere una storia che fa fondamento su amicizie virili, il viaggio inteso come percorso meditativo e dei sentimenti idilliaci. Tutte cose ben più adatte ad un Howard Hawks o ad un Kevin Costner.
Perchè non riconosco questo film in Walter Hill? Presto detto: prima di tutto, il viaggio di Print e Tom non può essere inteso come un'epopea (alla "Fiume Rosso" per intenderci) visto che i momenti morti sono davvero tanti, non è presente una perfezione nella tecnica e nella forma, ma soprattutto, manca quell'azione e quella vitalità tipici di un western avventuroso e scanzonato.
In secondo luogo, se c'è un aggettivo con cui denominare l'intera produzione di Hill è "Virile": questo perchè il regista statunitense ha sempre affrontato situazioni in cui erano gli uomini duri a fare la differenza; dove le donne venivano ingiustamente maltrattate o erano sottoposte agli uomini per realtà storiche o voleri di trama.
Qui, Hill si ritrova con sei ragazze cinesi, indifese e sensibili ritrovatesi non in una nazione, ma in un vero mondo differente, alla mercè dei rozzi e animaleschi uomini del selvaggio West: è da questo, che si evince il perchè ho citato precedentemente Kevin Costner: non perchè quest'ultimo sia più dotato, tutt'altro, ma proprio perchè ultimamente è stato uno dei pochi che è riuscito a rendere giustizia alla figura femminile nel genere western.
Un ruolo che non si addice a Hill, che trova delle deboli giustificazioni per poter rendere partecipi queste ragazze indifese al viaggio dei due cowboy senza che un solo pensiero lascivo passi loro per la testa.
Se Peckinpah avesse visto, avrebbe sicuramente espresso il suo dissenso con delle parole che aveva già riportato per il film "I professionisti" di Brooks:
"Questo è puro Walt Disney!"
Ci sono ogni tanto dei guizzi di fiamma, riscontrabili sia nel copione che nelle scene: Hill riesce a malapena a trattenere la sua vera indole e questo si nota soprattutto negli atti violenti dell'aguzzino delle giovani donne o nelle forti minacce che Big Ears rivolge a Print nel finale.
Purtroppo queste piccole buone idee, non solo non prendono mai il sopravvento, ma restano barlumi che a malapena rischiarano un film destinato a lasciare nello spettatore qualche sbadiglio e scene irrisolte che si protraggono all'infinito.
Gli errori stanno per lo più nella sceneggiatura di Alan Geoffrion, sicuramente la parte peggiore dell'intero film:
ricolma di clichè, spesso illogica, ripetitiva: si può chiudere un occhio sul fatto che l'intero lungometraggio sia basato su piccoli episodi di causa-effetto, ma non su quel brutto copione che oltre ad usare la scusa della lingua straniera per creare degli sciocchi siparietti, fa ripetere le stesse identiche frasi, con l'aggiunta di qualche sinonimo, nei dialoghi e nelle riflessioni, che dopo poco vengono alla nausea.
Personalmente, però, trovo ben più amarezza nel constatare che Hill tenta di uniformare la sua messa in scena in ottiche più Fordiane: non siamo al livello dell'insignificante sceneggiatura, ma mi duole assistere ad Hill che si ostina ad abbracciare quella visione altruista e spensierata dei primi film western.
Tanti saluti ai primi piani, agli anti-eroi o agli inaspettati scoppi di violenza: il film si focalizza su spazi aperti, paesaggi e una netta divisione tra buoni e cattivi che non appartiene per niente al regista che tutti noi conosciamo.
Le riprese, di conseguenza, risultano spaesate, spesso inadatte al tipo di situazione e davvero confusionarie.
È pur vero che malgrado consideri negativamente il film, esso abbia buoni spunti da cui si poteva tirar fuori qualcosa di buono, più una fotografia ben riuscita.
La forte presa di posizione verso le donne e la prostituzione, è un argomento che tutt'oggi ci tocca direttamente, finalmente riusciamo a immedesimarci in quelle ragazze che si sentono, letteralmente, estraniate, sradicate dal loro luogo d'origine e portate in una terra sconosciuta ove i nostri diritti non hanno più valore di quanti ne abbia una mucca: pochi altri film sanno rendere questa idea.
Peccato che l'amalgama tra il viaggio dei cowboy e le ragazze cinese non funzioni: la storia di Print e Tom avvolge e sovrasta completamente l'altro filone narrativo lasciando le giovani donne in balia degli eventi senza alcuna presa di posizione.
Data la lunghezza, poi, Hill ha potuto aggiungere una dose di quotidianietà che per lo meno rende più realistiche le atmosfere della pellicola quali: i fastidi all'aria aperta, i risvegli non facili, l'uso della carta igienica e i numerosi rattoppi agli abiti.
Questo, unito alla fotografia di Lloyd Ahern II, permette di ricevere belle immagini di vita vissuta nel 1897. Un grande lavoro è stato svolto particolarmente nelle riprese di notte: nessuna illuminazione se non un piccolo fuoco o le luci soffuse di una bettola, ma i due hanno una profonda differenza di significato, visto che il primo simboleggia protezione, mentre l'altro è qualcosa di più sconosciuto, del tutto inurbano, reso possibile grazie alla buona fotografia.
Ci si chiede continuamente se quel Walter Hill che vediamo nei titoli di testa, sia davvero il regista erede di Peckinpah o un omonimo, visto il totale abbandono di quel western con robuste dosi di violenza a favore di un TV-movie fiabesco e sentimentale.
Hill si finge Ford per realizzare un cinema dagli insegnamenti morali, che purtroppo è del tutto anacronistico.
Poche sono le cose che si apprezzano, tanta è la noia causata da scene riempitive e ripetitive, se a questo si somma un copione disastroso che rovina le interpretazioni dei talentuosi Robert Duvall e Thomas Haden Church ci ritroviamo con una delle peggiori opere del regista.
Fidati Hill, il tuo posto non è la televisione; resta fedele a Peckinpah e al cinema.
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