Regia di Matt Reeves vedi scheda film
Se si accetta il presupposto che un qualunque ventenne bruciato ed in piena tempesta ormonale appena prenda una videocamera in mano possa trasformarsi in un novello Orson Welles, allora Cloverfield può anche offrire qualche spunto godibile e coinvolgente. Ma se l'evidente improbabilità del falso realismo esibito nel film, struttura semantica portante della narrazione, ne snatura l'approccio, allora da queste parti, anche volendo grattare a fondo, rimane ben poco di interessante, soprattutto perchè la vicenda, narrata nel "The Blair Witch Project's style" che già all'epoca lasciò qualche perplessità, avrebbe potuto indifferentemente essere raccontata in maniera tradizionale senza che nel confronto potesse andare perso qualche passaggio fondamentale. Sarebbe stato un altro film? Senz'altro (e magari anche migliore), ma la constatazione, che si fa strada nello spettatore, che le improbabilità strutturali dell'approccio ne demoliscono, se non proprio l'originalità, sicuramente la validità e l'efficacia spettacolare, non fa altro che evidenziare che lo stile documentaristico, che sarebbe dovuto essere il "tutto", cioè l'elemento primario che identifica il film, non aggiunge, invece, un bel "niente", smascherandone, piuttosto, l'esilità dell'ispirazione. L'effetto straniante che ne deriva, oltre tutto, ha l'ulteriore, deleterio effetto di raffreddare la tensione della vicenda horror, riducendo oltre la tolleranza (e non solo per gli amanti del genere), la soglia accettabile di spaventi, lasciando dilagare incongruenze e pressappochismo. Il novello Orson Welles maneggia la videocamera come un piccone, almeno fino alla sequenza-chiave in cui, dopo un improvviso black-out, una comitiva di giovani partecipanti ad una festa salgono sul tetto del palazzo in cui si trovano, intravedono incendi all'orizzonte, mentre si susseguono esplosioni e la terra inizia a tremare, si precipitano in strada e scoprono che New York è attaccata da un terrificante godzillone volante: dopodichè, appena gli autori (dal regista Matt Reeves allo sceneggiatore Drew Goddard alla mente dietro Cloverfield, ovvero J.J. "Alias & Lost" Abrams) avviano il frenetico gioco di inseguimenti, morte e distruzione, dipingendo una canonica lotta dell'uomo contro il mostro, ecco che prontamente il nostro cameraman preferito, baciato da grazia kubrickiana, si trasforma in un poeta della macchina da presa, ecco il montaggio intervenire impietosamente a devastare l'approccio che si sarebbe desiderato iperrealistico e che invece appare da subito soltanto patinato, iperdefinito al millimetro in ogni suo passaggio e scontato come un qualunque blockbuster profumato di pop corn, coca cola e schiamazzi, ecco che l'intero impianto concettuale che nelle intenzioni avrebbe dovuto sorreggerlo finisce per autodistruggersi, divorato anch'esso dal suo famelico mostro volante (che nell'America post 11 settembre di Cloverfield sostituisce metaforicamente gli iracheni come nemico). Un reality-horror di cui si apprezzano esclusivamente le atmosfere apocalittiche che lo percorrono, oltre ai sussulti pirotecnici dei sontuosi effetti speciali. Il resto è finta genialità spacciata per innovazione, un pretenzioso tentativo di riscrittura degli stilemi classici di un genere aggiornati alle evoluzioni della tecnica nell'era del video digitale. Ma è solo marketing.
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