Regia di Matt Reeves vedi scheda film
Nel bel mezzo di una festa un gruppo di ragazzi, avvertiti da un tremendo boato, vanno incontro all’apocalisse. Una non ben identificata forza oscura fa crollare i palazzi di Manhattan ad uno ad uno. Come ovvio, i ragazzi lasciano la festa e scappano.
Tutta qui la trama di “Cloverfield”, film particolarmente atteso per la supervisione di J.J. Abrams, mente occulta della fortunata serie televisiva “Lost”. La banalità della trama stessa è però riequilibrata dalla discreta originalità delle riprese: l’escamotage utilizzato dal regista, l’esordiente Matt Reeves, è quello di affidare il racconto ad una telecamera amatoriale, che, utilizzata per registrare la festa a sorpresa per il protagonista, finisce poi per filmare un documento sensazionale: il fenomeno di distruzione di massa di cui sopra. Un po’ come accadeva per “The Blair Witch project”, ma con alcune peculiarità fondamentali: la camera registra su una cassetta già incisa in precedenza (dunque sono apprezzabili i tentativi della sceneggiatura di intervallare l’apocalittico viaggio di Michael e soci, con la tranquilla giornata a Coney Island della precedente registrazione); la presa è completamente diretta: il regista lascia intravvedere allo spettatore solo quello che registra il cineoperatore improvvisato Hud (principalmente piani-sequenza dunque, ma non si disdegnano sfocature, zoom e pause forzate); infine la durata: le vicende durano esattamente quanto una mini DV da videocamera in modalità LP (circa 90 minuti).
Il film è sconvolgente per certi tratti, perché il vecchio escamotage usato per immortalare la strega di Blair dal 1999 al 2008 è stato utilizzato molto raramente, dunque è una pratica non ritrita e che per questo ha ancora un certo effetto sullo spettatore. Ma il film è anche troppo lungo, soprattutto nella parte iniziale, alla festa: ma si tratta di una scelta coerente dato che l’idea di fare un film esclusivamente con le immagini riprese dalla fantomatica telecamera è testardamente portata avanti dall’inizio alla fine. E l’esperimento merita la visione. Anche perché proprio l’esperimento in sé (dunque il tipo di riprese) sarà l’unico motivo per cui nei prossimi anni si ricorderà questo “Cloverfield”.
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