Regia di José Padilha vedi scheda film
"Tropa de Elite" è una spiazzante e crudissima tragedia adrenalinica ambientata in un tetro scenario delle favelas tra la corruzione delle forze dell’ordine e i metodi spietati della polizia locale. Si assiste fondamentalmente al travagliato tragitto disumanizzante della recluta André Matias (un indovinato André Ramiro), uno studente di giurisprudenza con l’ambizione di sostituire il ruolo del suo capitano della BOPE Nascimento (il solerte Wagner Moura). Nella destabilizzante vita urbana si assisterà a laide torture e sanguinosi pedinamenti per venire a capo dei bisunti covi in cui alloggiano gli spacciatori. Il film impone immagini scabrose e disturbanti e non è certo adatto a tutti i tipi di audience. Sono stati criticati in modo particolare il taglio documentaristico adottato dalla narrazione in terza persona (spesso decantata anche didascalicamente), la bidimensionalità dei caratteri (i dialoghi hanno un filo di retorica), e la facciata non tanto celata dell’orientamento squadrista della polizia brasiliana. Personalmente penso che la pellicola non fallisca nel rapporto tra spettacolarizzazione ed intrattenimento; poiché se in effetti è vero che l’impianto della sceneggiatura tenda a rivelarsi alla lunga cadenzato da situazioni estremizzate nella drammaticità e dal ritmo quasi sincopato nei risvolti (è una continua caccia all’uomo intervallata dai momenti più quieti della vita privata di André, almeno nella prima parte), l’abilità di José Padilha, nel muovere sapientemente la mdp a mano tra le “fangose” stradine della periferia di Rio, riesce a conferire alla veemente rappresentazione un tono neorealista amplificato da una fotografia “infiammata”, non eccelsa nelle sfumature, ma in grado di catturare quell’atmosfera di degrado del tessuto terzomondista che purtroppo caratterizza una parte della società di alcune nazioni del Sud America. La violenza impellente è il modus apicale irrinunciabile che permette il buon esito delle indagini, ed è solo un comportamento deficitario mostrarsi eversivi nei confronti della stessa quando ti ritrovi a dover lottare contro criminali senza scrupoli e strategicamente avvantaggiati. Un messaggio tendenzialmente opinabile e privo di "morale", attraverso cui però il regista manifesta un distacco evidente da una presa di posizione radicale, facendo comprendere agli spettatori la sottile linea di demarcazione che si trova al limite tra ciò che è giusto e inaccettabile in termini di etica antropologica. Operazione da promuovere, ma non per forza da erigere all’appellativo di cult, rimane un apprezzabile, traumatico (e verosimile) spaccato della “città di Dio”.
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