Regia di José Padilha vedi scheda film
Panoramiche a schiaffo, montaggio da guerriglia, favelas sterminate, armi e schizzi di sangue in ogni angolo dell’inquadratura. A capo degli squadroni della morte, selezionati con teniche da lager, che compiono quotidiane azioni di guerra nei formicai brulicanti di diseredati e trafficanti, il capitano Nascimiento sa che può liberarsi da quell’incubo solo se riuscirà a trovare e ad allevare qualcuno sufficientemente nevrotizzato, disumano e spietato quanto lui che possa sostituirlo. Prima di arrivarci, però, il film ha seguito i tracciati paralleli di giovani aspiranti poliziotti, ufficiali di polizia collerici e corrotti, ricchi e giovani borghesi che praticano solidarietà e i libri di Foucault dividendosi tra gli spinelli nella favelas e i dibattiti all’università. L’imminenza della follia e della carneficina, benché l’intero film sia ambientato nel 1997 a qualche mese dalla visita ufficiale del Papa, è sin troppo tangibile nella voce del protagonista che si racconta in una insistente voce fuori campo. Padilha sembra avere gran dimestichezza con la materia che tratta. Forse troppa. Il film di più alto budget nella storia del Brasile (coprodotto insieme ai Weinstein), grande successo in patria, Orso d’oro a Berlino 2008, ha un po’ lo stesso difetto del suo protagonista: ha i riflessi e il tono muscolare di un marine ma non l’indignazione o la vulnerabilità necessarie a non farci sospettare che il suo occhio di cinema non sia attratto e prigioniero quanto lui dell’adrenalinico spettacolo di violenza, torto, e sadismo che mette in scena. Meno camera a mano, montaggio e cinema, avrebbero consentito all’ingiustizia, alle diseguaglianze e al dramma primordiale di una società che più di qualcuno giudica sulla stessa rampa di lancio di Cina e India, di lavorare su di noi spettatori con più emozione e pietà.
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