Regia di Gillo Pontecorvo vedi scheda film
Rivisto oltre mezzo secolo dopo, Kapò non perde la freschezza del documento di accusa (contro un'umanità malvagia, contro la corruzione che alberga in ognuno di noi) e neppure traballa la scorrevolezza della narrazione con cui Pontecorvo - anche sceneggiatore, insieme a Franco Solinas - mette in scena l'atroce odissea di una ragazza internata in un campo di concentramento: vittima, carnefice e infine martire di una follia collettiva. Certo, il famigerato carrello ('una questione di morale' secondo Rivette, all'epoca giovane, ma influente critico dei Cahiers) che si sosteneva spettacolarizzasse in maniera del tutto fuori luogo la mortale fuga di una detenuta (Emmanuelle Riva) oggi fa tutt'al più sorridere, perchè ormai il cinema ci ha abituati a ben altro, ben di 'peggio' da questo punto di vista; ma l'impianto della storia, la tenuta dei personaggi e la loro psicologizzazione non hanno realmente nulla da temere ancora adesso, dopo tutti questi anni, a rimarcare la grandezza dell'opera. Che è la seconda in lungometraggio per Pontecorvo, dopo La grande strada azzurra del 1957; e che è anche l'occasione per Susan Strasberg per assumere un ruolo da protagonista di una produzione di alto standard (Cristaldi / Ergas) e farsi ammirare a livello internazionale: bella, sì, ma non sempre perfetta nel conferire il pathos allucinato e soffocato dall'ansia che il personaggio le richiede. Fra gli altri interpreti si possono inoltre citare Laurent Terzieff, Didi Perego, Gianni Garko e Paola Pitagora; nota di assoluto merito per le epiche musiche composte da Carlo Rustichelli, nella loro sontuosa enfasi colpevoli - se davvero una colpa si può rilevare in Kapò - esattamente quanto il carrello di Pontecorvo. La nomination all'Oscar (miglior film straniero, ma fallita) non sorprende sia per la bellezza del lavoro, sia per l'attenzione risaputa che Hollywood concede a tematiche di questo stampo: ma va notato che nel 1959 ancora pochi film si erano apertamente occupati della questione nazista e della crudeltà banale (Arendt) che nell'essere umano trova fisiologicamente riparo. Cronologicamente parlando, Kapò - per quanto distante stilisticamente anni luce - arriva subito dopo Hiroshima mon amour di Alain Resnais (uscito nel giugno 1959). 8/10.
Seconda guerra mondiale. L'ebrea Edith, 14 anni, viene internata in un campo di concentramento nazista insieme ai genitori: non li rivedrà più. Grazie alle simpatie di un medico riesce ad assumere un'altra identità e a divenire kapò, collaboratrice dei nazisti. Si farà quindi coinvolgere in un tentativo di fuga.
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