Regia di Erick Zonca vedi scheda film
Scritto dal regista insieme a Aude Py, adattato dal romanziere Michael Collins e da Roger Bohbot: quattro cervelli in ipossia non hanno trovato di meglio che copiare la sceneggiatura di Gloria (1980) di John Cassavetes, mescolandone gli ingredienti base per propinare una minestra riscaldata solo dalle lunghe gambe di Tilda Swinton.
Scritto dal regista insieme a Aude Py, adattato dal romanziere Michael Collins (autore di ‘bestseller’ poco venduti) e da Roger Bohbot: quattro cervelli in ipossia non hanno trovato di meglio che copiare la sceneggiatura di Gloria (1980) di John Cassavetes, mescolandone gli ingredienti base per propinare una minestra riscaldata solo dalle lunghe gambe di Tilda Swinton.
Che queste tràmpolino su high wheels, facendo temere un’improvvisa caduta della quasi cinquantenne diva dritta per terra, è l’unico elemento di suspense di un film che non ne offre altri. Infatti, vedendo Julia si ha il sospetto che il regista abbia conformato e corretto lo script adattandolo alle continue scivolate della longilinea star londinese che, a giudicare dalla sua partecipazione a film nei quali ha interpretato ruoli di regina, madonna, milady, strega, contessa e via nobilitando, sui tacchi alti cammina come uno sghembo pattinatore inesperto sul ghiaccio.
Le cadute dai tacchi sono ugualmente ripartite con quelle nel peccato, perché Julia è un personaggio a rischio costante di black out: voglio dire che ha il cervello in pappa per l’uso sfrenato di alcol, droga, antidepressivi. È facile che la sera adeschi qualche maschio, senza fare la schizzinosa, in un bar, per ritrovarsi al mattino sveglia in un letto estraneo e chiedersi chi è quello scimunito brutto con cui ha scopato la notte.
Fatto sta che Julia la dà a tutti (anche a un barista irsuto), meno che a quel testone di Mich (Saul Rubinek), un bonaccione che è uscito dal tunnel sex drug sedici anni prima e ora ha assunto il ruolo di salvatore dell’anima persa e amatore del corpo ancora appetibile della donna, andando in bianco e a bocca asciutta, nonostante il gran sbavare da cane da guardia.
Julia, hanno scritto, rivela per la prima volta, la ‘femmina’ che era occultata nei film in costume, finalmente la critica si accorge che Tilda Swinton non è un uomo, come se qualcuno lo avesse mai sospettato!
Certo, fa piacere vedere che la regina è nuda, che è uscita all’aria aperta, lasciando sul trono i pesanti abiti con i collari che le strozzavano il delicato collo, ma, come sovente avviene nei primi cinquant’anni, è giusto darsi alla pazza gioia per quella degli spettatori, alla faccia di Mich.
Il film annoia da subito, la faccia stravolta dal vizio di Julia, il volto rigato di lacrime e rimmel misto henné, il rossetto sbavato lungo il mento, il paletot e la borsetta a tracolla stanno per addormentarmi, quando all’anonima alcolisti la donna perduta incontra Elena (Kate del Castillo), una ragazza messicana che le propone di rapire il figlioletto che vive con il nonno straricco. Il ragazzino è stato strappato a Elena e lei vuole riaverlo tra le sue braccia. Julia finge di commuoversi e ordisce un piano per sequestrare il ragazzino e ricattare il nonno. Due milioni di dollari, la fuga e una nuova vita in Messico, questo è il piano di Julia.
Il film prende ritmo, Julia si trasforma in Gloria, da Los Angeles in Messico, poi a Tijuana, Baia California Norte, Laguna Salada, Mexicali, seguiamo le avventure della donna, poco interessati agli avvenimenti e fortemente attratti dal paesaggio. Le location emozionano, il film va per conto suo.
Il ravvedimento di Julia, lo scontro con i brutti ceffi di Tijuana, le sparatorie improbabili, la metamorfosi della puttana in eroina e madre non convincono. Tutto è déja vu.
Non basta la bellezza di Tilda Swinton (qui all’apice del fascino liberty decadente) a salvare un film che non funziona anche a causa della lunghezza eccessiva di 144 minuti.
Alla fine, meravigliato, ti chiedi: possibile? Erick Zonca, quello della Vita sognata degli angeli, del Piccolo ladro?
Sì, Erick Zonca dieci anni dopo.
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