Regia di Antonello Grimaldi vedi scheda film
“Sai che chi si ferma è perduto, ma si perde tutto chi non si ferma mai”. Sembra come se il bravissimo cantautore Nicolò Fabi, già due anni fa, avesse visto Moretti seduto sulla panchina. Fermo, cercando di non perdersi niente.
Quanto caos, quanta pubblicità, addirittura lo studio sulla locandina del film. Insomma, se questo era uno dei film italiani più attesi, figuriamoci gli altri…
Tratto dal libro omonimo di Sandro Veronesi, Premio Strega 2006, Caos calmo é l’unico film italiano in concorso al Festival di Berlino: notizia che non è tanto favorevole per un paese che del cinema ha fatto scuola. D’altronde, è lo stesso Moretti che, all’inizio del film, si chiede stupefatto: “Non mi dica che dobbiamo aiutare il cinema italiano?”.
E’ lui stesso ad interpretare Pietro Paladini, che le prime immagini riprendono, insieme a suo fratello Carlo, introducendoli pedissequamente, allo stesso modo del romanzo di Veronesi (da cui, se fossero state tagliate almeno 120 pagine, sarebbe risultato un buon romanzo). Il mare in tempesta e i due fratelli, che giocano serenamente a racchettoni sulla spiaggia. Un grido dal mare: due donne stanno annegando. Senza incertezza, i due Paladini si gettano in acqua, nonostante il consiglio di un uomo, sulla spiaggia, che tenta di trattenerli, avvertendoli che le condizioni del mare sono troppo pericolose. La camera segue Pietro, che lotta contro la forza del mare, per riportare la donna a riva. Nel romanzo, c’è la descrizione molto bella dell’attrazione di Pietro, per quel corpo seminudo, attraverso il turbine di pensieri e di reazioni fisiche. Non così, Grimaldi la risolve: mostrando un seno scoperto e l’imbarazzo di Pietro nel toccarlo. Tutto si gioca, quindi sul salvatore e chi è salvato. Ma anche sull’impossibilità di salvare: al rientro a casa sua, Pietro trova sua moglie, Lara, accasciata in giardino, morta all’improvviso, davanti agli occhi di Claudia, la figlia di dieci anni. Due eventi che si svolgono contemporaneamente e che vedono Pietro salvare una sconosciuta, piuttosto che la vita di sua moglie. Da quel momento avvertirà la forte esigenza di fermarsi, per dedicare la sua vita, completamente, a sua figlia Claudia, ma in modo indiretto anche a tutte le persone che frequentano gli stessi luoghi: la giovane mamma che accompagna ogni mattina suo figlio down, la ragazza che porta il cane in giardino, come ogni altro passante di lì, dove tutto è calmo.
Il film di Grimaldi è abbastanza noioso, perché il romanzo di Veronesi, dopo le prime cinquanta pagine, diventa noioso. Si ha l’impressione che il dolore non arrivi mai, che l’immobilità regni sovrana, di contro alla tormentata vita della cognata di Pietro, Marta, angosciata da una gravidanza indesiderata con un uomo che è già fuggito. Sarà lei però, lei che parla senza filtri, a fargli capire quante cose non sapesse della moglie e quanto ignorasse la sua infelicità.
Nonostante la sofferenza non entri mai in scena, non mancano i momenti di grande emozione, ma sono soltanto due: quello in cui Moretti, dando grande prova di quello che è, come attore, si abbandona al dolore, nel chiuso e nel silenzio disperato della sua auto in compagnia della voce lancinante di Tom Yorke dei Radiohead, e l’incontro che egli stesso farà con il supermagnate Steiner (il Murdoch della situazione). Insomma, quando dall’auto scende Polanski, lì ci prende a tutti un caos di emozioni.
E’ evidente che il film di Grimaldi sia troppo ‘morettizzato’: “Non sto seduto tutto il giorno, mi muovo”, pronunciata da un altro attore, sarebbe risultata priva di senso, oltre che di emozione. Alla fine, l’unico salvatore del film, oltre che della donna annegata, rimane Nanni Moretti.
Giancarlo Visitilli
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