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Kaos

Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film

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La recensione su Kaos

di luisasalvi
10 stelle

Quattro episodi da altrettanti racconti di Pirandello, preceduti da un prologo in cui uomini siciliani prendono un corvo maschio che cova (vergogna!), gli lanciano addosso le sue uova, poi gli legano una campanella al collo e lo lasciano libero di volare per la Sicilia, guidando lo spettatore verso gli altri episodi. Prologo sulla violenza gratuita; terribile, pur se attenuata dal tono di favola, come sempre nei Taviani.

Del primo episodio, L'altro figlio, è importante precisare che l'altro figlio cerca sempre la madre con rispetto ed amore filiale; la madre lo rifiuta, pur riconoscendo che è molto buono e devoto, perché identico di aspetto al padre che l'ha violentata dopo aver selvaggiamente ucciso suo marito. Poetico, equilibrato nelle sue parti, dalla dettatura della lettera ai figli emigrati in America che non hanno mai risposto, allo sguardo sul foglio scarabocchiato di segni; poi il gruppo di emigranti, fra i quali la donna (la brava Margherita Lozano) cerca uno affidabile cui dare la lettera, e dall'indagine emergono tanti ritratti umani di emigranti e delle loro famiglie. Fra essi un padre dice al figlio di non tornare e di non pensare a loro, ed ai parenti rimasti di non desiderare il loro ritorno (se ne ricorderà nel 1988 Tornatore in Nuovo cinema Paradiso, in cui Alfredo dà lo stesso ordine, con toni simili, al giovane Salvatore che parte per Roma), e strappa la inutile lettera; la donna ne raccoglie i pezzi e chiede a un dottore che assiste gli emigranti in partenza di ricopiarla. Scopre così che non era stata scritta, e ne è felice perché ciò prova che i figli non rispondevano non perché l'hanno dimenticata, ma perché non ricevevano… Ma il dottore vuole sapere perché lei si ostina a non parlare al terzo figlio, che ad ogni nuova partenza di emigranti viene a vedere la madre, le offre dei doni, la guarda con affetto umile e triste. Lei racconta: con i soliti toni da favola (la ferocia delle favole, Pollicino abbandonato nel bosco dai genitori, streghe che ingrassano i bimbi per poi mangiarli, ecc.), il marito, costretto ad unirsi ad una banda feroce, ne fugge, ma il capobanda non ammette diserzioni; lei vede il feroce bandito che gioca a bocce con la testa del marito decapitato, poi lui la prende e la violenta. Ora il figlio è di aspetto identico al padre (lo stesso attore), se pur di sentimenti opposti, e lei non ne sopporta la vista. Ha ancora uno sguardo di sospesa tenerezza, quasi volesse accettarlo, ma non ce la fa… getta via il frutto che lui gli aveva lasciato in dono, e questo rotola, come la testa del marito lanciata dal padre di lui…

Mal di luna è il dramma di un altro emarginato, per una disgrazia alla nascita: sposato, alla prima notte di luna piena si fa chiudere fuori casa dalla amata moglie per soffrire da solo le angoscie del mal di luna (licantropia). Lei al mattino torna dalla madre e lo rifiuta; lui sta solo davanti alla porta sbarrata di lei, aspetta, poi confessa e racconta il suo male, che fa male solo a sé; la madre convince la figlia a tornare, promettendo che alla prossima luna piena lei verrà a tenerle compagnia, e alle resistenze della figlia aggiunge che verrà anche con il giovane parente che la ama e che lei ama ma che non ha potuto sposare; lei accetta felice dell'occasione; il marito riceve con generosa ospitalità i parenti di lei e si fa chiudere fuori, mentre la madre si ritira nella stalla e li lascia soli in camera; ma fuori piove e il marito non è preso da raptus e vede dalla finestra i due e capisce e si dispera, mentre la luna si affaccia e la sua disperazione si trasforma in ululato; il giovane ne ha compassione, rifiuta le richieste sempre più esplicite della donna, poi esce a salvare il marito che cerca di uccidersi battendo la testa contro un sasso; all'alba lui si placa, esausto, e la moglie (forse rinsavita da un mal di luna peggiore di quello di lui…) gli si avvicina e lo accoglie mentre l'altro se ne va con la madre… Tutto molto poetico e tenero; in particolare la confessione nella piazza deserta e assolata, mentre la madre dà il consiglio convenzionale e la proposta indecente che la figlia accetta con entusiasmo; poi tutto il finale, tenero e drammatico, con i diversi sentimenti dei quattro personaggi.

La giara mi pare la storia meno convincente, troppo giocata fra cenni di polemica sociale, farsa e dramma e poesia… ma forse solo perché troppo nota e diversa dalle attese: forse tutte queste componenti, ed altre, sono ben fuse insieme… da rivedere (ma è da rivedere tutto, più volte).

Requiem prosegue la tematica sociale: è la storia degli abitanti di una frazione che vive e lavora sulle terre di un latifondista, e vuole il diritto di seppellirci anche i propri morti, che finora devono essere trasportati fino al capoluogo; il padrone rifiuta, manda i carabinieri, ma il vecchio patriarca morente si finge morto e così i carabinieri se ne vanno, né si capisce perché, se erano venuti qui proprio per impedire il funerale; nonostante l'assurdità della vicenda (peraltro tipica, se pur non in misura così vistosa, in tutti i film dei Taviani) il racconto è affascinante e sortisce effetti di dramma realistico, perché i temi sono reali anche se il modo è da favola; appunto, secondo la tipica poetica dei Taviani.

L'epilogo, Colloquio con la madre, è forse ancora più poetico e commosso, e sognante nella evocazione del viaggio giovanile all'isola della pomice, con le corse dei ragazzini lungo il pendio di candida polvere di pomice verso il mare azzurro.

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