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Mamma mia!

Regia di Phyllida Lloyd vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su Mamma mia!

di FABIO1971
6 stelle

Per ogni amante della musica gli Abba rappresentano il classico scheletro nell'armadio a cui è impossibile sfuggire: come resistere, quindi, all'adattamento cinematografico di Mamma mia!, il fortunatissimo musical scritto da Catherine Johnson nel 1999 e diretto dalla Phyllida Lloyd che già ne curò la regia teatrale? Macchiettistico e cartolinesco, coloratissimo e lussuoso, sempre in bilico tra kitsch scintillante e pop laccato d'alto bordo (quindi fedelissimo all'iconografia visiva e sonora degli Abba), una favoletta zuccherosa come le canzoni della band, spiritosa e svagata già nella leggerezza della trama, con la giovane Sophie (Amanda Seyfried) che, dopo aver vanamente cercato suo padre per vent'anni, ne trova addirittura tre (senza conoscere, però, quale sia quello vero) alla vigilia del proprio matrimonio, innescando una girandola di equivoci e contrattempi tra sua madre Donna (una generosa Meryl Streep), le allegre "ziette" Rosie e Tanya (Julie Walters e Christine Baranski, incontenibili), il promesso sposo Sky (Dominic Cooper) e i tre simpatici e presunti genitori (Pierce Brosnan, Colin Firth e Stellan Skarsgård) e veleggiando, poi, spumeggiante verso un happy end che si rivelerà inaspettato. Girato per gli esterni tra le isole di Skopelos e Skiathos (i cui pittoreschi scorci ricreano l'isoletta greca fittizia in cui è ambientato il film), con la fotografia tutta lustrini e paillettes firmata da Haris Zambarloukos e la strepitosa colonna sonora, con i brani musicali eseguiti dagli strumentisti storici che accompagnavano la band, Mamma mia! ha l'effetto di una ventata d'aria fresca in una giornata piatta e grigia, ma niente di più: nessuna pretesa seriosa o di originalità (la trama, tra l'altro, saccheggia impunemente il plot di Buonasera, signora Campbell di Melvin Frank), nessuna pontificazione moralistica o, men che mai, istanza di ribellione giovanile, solo un inno all'evanescenza e alla spensieratezza, intriso di balli e canti liquorosi e spesso esilaranti nelle goffe e autoironiche movenze degli interpreti. La cifra stilistica dominante è quella sognante e magniloquente dell'eccesso e del pittoresco, del sorriso sulle labbra, della bonarietà e dell'insensatezza, incastonata tra gag stralunate ed esilaranti (come il coro greco che ride, o quella conclusiva ed irresistibile tra Stellan Skarsgård e Julie Walters, che avvia l'esecuzione di Take a Chance on Me e prelude al pirotecnico finale) e danze sfrenate e coinvolgenti: la palma dello spasso andrà a Chiquitita, affidata alla performance straripante delle scatenate Julie Walters e Christine Baranski, che insieme a Meryl Streep si esibiscono anche nella coreografia più impegnativa del film (Dancing Queen) ed in un irresistibile balletto per Super Trouper che omaggia il videoclip originale della canzone, mentre i tre maschioni (con Firth e Skarsgård decisamente più in forma di un Pierce Brosnan talmente ingessato da aggiudicarsi il Razzie Award del 2009 come peggior attore), invece, si propongono insieme in una ben più sobria versione di Our Last Summer. Producono gli stessi Abba (i due compositori Benny Andersson e Björn Ulvaeus, che si concedono anche un cameo) insieme a Tom Hanks e signora (la Rita Wilson che già allestì il baraccone di Il mio grosso grasso matrimonio greco), raggranellando oltre 500 milioni di dollari d'incassi in tutto il mondo e diventando il musical più redditizio della storia del cinema.

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