Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Tyrell: «Quale sarebbe il tuo problema?»
Roy: «La morte!»
Va bene tutta la filosofia che sottende il film tratto dal racconto di Philip K. Dick Il cacciatore di androidi e magistralmente riassunta da Ridley Scott nella fondamentale sequenza del dialogo tra l'androide Roy Batty ed il suo artefice, il prof. Tyrell, che si conclude con l'uccisione di quest'ultimo, però a mio parere il succo di Blade Runner si può condensare, in poche parole, nell'orrore del tempo che fugge veloce, o meglio, nella paura della morte. A questo tema si legano tutti gli altri, che da sempre arrovellano e stimolano la mente dell'uomo.
Il senso stesso della vita, rinchiusa tra due grandi Nulla, la traccia che un singolo lascia della propria esistenza, il ruolo di un creatore (o demiurgo?), onnipotente o quasi, che gioca o non gioca a dadi (qui, forse con un pizzico di ironia, gioca a scacchi), sono tutte questioni che acquistano di senso, tenendo conto che gli androidi, anche quelli più evoluti, hanno soltanto quattro anni di vita. E che, forse, siamo tutti androidi, destinati ad un'esistenza breve e fatta per lo più di sacrificio e sofferenza. Là dove la fantascienza incontra la filosofia (possono venire in mente tanti pensatori, da Platone a Schopenhauer a Kierkegaard), attraverso le mani di un sapiente demiurgo che sa anche circondarsi dei giusti collaboratori, può nascere un capolavoro come Blade Runner. Nel corso degli anni sono stati cambiati i finali - nei vari director's cut e final cut -, ma quello che conta e che continua a colpire è il sottofinale, quello di «io ho visto cose che voi umani...» e delle «lacrime nella pioggia».
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