Regia di Frank A. Cappello vedi scheda film
Curioso quest’uomo qualunque, questo Fantozzi calato in un incubo Gilliamiano. Un giorno di ordinaria follia dilatato per una vita intera in cui il grottesco tenta di mescolarsi come olio in acqua, in un tessuto narrativo drammatico. Curioso che nulla si amalgami, e non è ben chiaro se l’effetto sia dovuto a capacità o incapacità del regista, tale Cappello, autore anche della sceneggiatura, ogni ingrediente rimane lì a galleggiare insieme agli altri formando non una struttura coesa, quanto un disturbante patchwork di visionario, folle simbolismo. E’ la storia di Bob, impiegato zerbino della megaditta in cui è vessato e mobbizzato da colleghi e superiori molto più di lui. Di cosa non si sa, ma sicuramente molto di più. Spronato da un pesce parlante abitante del suo acquario casalingo che funge da coscienza liquida e subdola, decide di fare quello che sempre più impiegati-numero nella società dei perdenti decidono di fare: uccidere qualche collega, sfoltire il parco buoi, alleggerirsi dalla frustrazione, vendicarsi ecc ecc. Il destino si prende già beffa dei perdenti nella quotidianità ma a volte decide di fare straordinari, trasforma così Bob the killer in Bob the Hero nel momento in cui, giusto un secondo prima di lui un impiegato pari grado-zero compie l’atto estremo, lasciando a terra un paio di quadri, un dirigente, tre impiegati e venendo finito da Bob perso in un lucido delirio paranoico. Tra onirismo e cinico quadro sociale, il film zampetta allegro tra la farsa, il dramma, il fantastico, Christian Slater esageratamente trasformato da un trucco che riprende le sfigate fattezze di un Charlie Brown dalla faccia facciosa, si contorce in scena sempre più sconvolto da visioni che si intersecano alla realtà slabbrandone i confini, straripando nel simbolismo bizzarro e disturbante in cui sembra che nulla sia al proprio posto. Soprattutto lui stesso. E’ una metafora dell’alienazione dell’uomo moderno, ovvio, mutata in thrilling, distorta, filmata da inquadrature sghembe e deformanti ma pregne di una personale dignità e inventiva. Quadri di infelicità in cui si dibatte il pesce malato Bob, esempio vivente del sacrificabile, elemento al quale nulla è consentito se non crepare. Forse non sempre coerente e sovente sopra le righe, tutto è in sovraccumulo e cortocircuitato per generare sazietà emotiva, con conseguente rigetto. Scorretto e visivamente disturbante, è però un film dalla scarsa tenuta drammatica, con un finale debole che diluisce il tutto nel dubbio. Ma questo è un male minore, cos’è un finale di fronte ad una sacrosanta vomitata sulle tette di una bonazza stronza? Un’offerta di un pompino da parte di una paraplegica? I già noti pesci parlanti; uno strana promozione a VicePresidente del Pensiero Creativo; boccioni d’acqua fluorescenti; paranoie assortite e tanti tanti particolari che meriterebbero una seconda visione? Nulla, il finale non è nulla, è solo l’esposizione del dolore mediato precotto e inoculato nelle case da parte di un giornalista che intervista il vicino di casa dopo l’ennesima strage: era un uomo tranquillo. Più o meno sono tutti così. Può diventare un cult, però. Quelle operazioni anarchiche e bislacche che crescono maturando nel tempo lo status di autoriale. Chissà. IO l'ho visto e potrò dire: l'avevo detto.
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