Regia di Frank Darabont vedi scheda film
Da un vecchio racconto di Stephen King, Darabont trae un discreto horror che non brilla per originalità ma fa comunque il suo sporco lavoro. Il canovaccio è simile a quello di tanti altri (un gruppo di persone assediato in un posto chiuso da entità misteriose), lo sviluppo è di conseguenza altrettanto prevedibile durante la prima parte, che è piuttosto prolissa e stenta a decollare, i mostri sono fatti al computer e si vede lontano un miglio; ma nonostante questo il film si lascia vedere per un certo gusto retrò nella messinscena che ricorda da vicino le atmosfere dei b-movies che si facevano tra gli anni '50 e i primi '80 (e l'omaggio al maestro Carpenter, a inizio pellicola, sta lì a sottolinearlo) e per la capacità di generare tensione (soprattutto nella seconda parte) attraverso i dialoghi più ancora che attraverso le scene truculente, mantenendo viva l'attenzione sui contrasti tra i protagonisti, sul panico sempre crescente e sulla conseguente divisione generata da chi, soffiando sul fuoco della disperazione, cerca (e trova) sponde e consensi per il proprio delirio mistico. Perché, per dirla con uno dei protagonisti, "la razza umana è fondamentalmente folle, altrimenti non si spiegherebbe l'invenzione di politica e religione". Menzione particolare per il finale (diverso rispetto al racconto originale): semplicemente agghiacciante...
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