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American Gangster

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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La recensione su American Gangster

di giansnow89
8 stelle

Ridley Scott come sempre confeziona un prodotto di grande qualità.

L'oggetto della narrazione sembra essere comune ad altri grandi gangster movie quali Goodfellas o Scarface, l'alba e il tramonto della carriera di un criminale. Questo American Gangster tuttavia presenta anche un gustoso confronto a distanza fra il boss Frank Lucas (Washington), monarca assoluto dell'eroina a New York e dintorni, e l'incorruttibile detective Richie Roberts (Crowe), separato, una vita piuttosto dissipata, qualche amicizia con personaggi poco raccomandabili, eppure onesto sul lavoro quasi da far venire rabbia. Un uomo che trova un milione di mazzette della malavita ai poliziotti in una macchina, e invece di scappare col malloppo a Cuba o alle Hawaii, consegna l'intera somma alla polizia. 

 

Siamo nel 1968, tempo di guerra nel Vietnam. Frank Lucas inizialmente è il banale autista, nonché guardia del corpo, del boss di Harlem, Bumpy Johnson. Alla morte di quest'ultimo decide di prendere in prima persona il controllo del cartello dell'eroina bypassando tutti gli intermediari e importandola, raffinandola e infine distribuendola a bassissimo costo direttamente lui, da solo, dalla Thailandia. Frank Lucas è un nero, un ultimo della società, esattamente come Tony Montana era un rifiuto smaltito da Fidel Castro in America. Il regime di monopolio cui assoggetta New York presto gli attira le invidie delle potenti famiglie che comandavano prima di lui e che vogliono entrare a far parte del giro. Su Frank planano anche gli avvoltoi della polizia, corrotti fino al midollo, che pretendono la consueta mazzetta per chiudere un occhio. Frank può fidarsi autenticamente solo della sua numerosa famiglia, il cui spesso reticolato basato sulla fedeltà costituisce la sua grande corazza. Frank è un duro, ma sa essere generoso con i suoi familiari; è spietato con chi sbaglia e lo delude, ed è una sorta di santone per le genti di New York che invece con la droga a basso costo porta alla rovina. 

 

Se possibile, il detective Roberts è ancora più isolato di lui. Isolato dalla sua famiglia; isolato dai suoi colleghi corrotti che guardano con sospetto la sua attività alla Narcotici che rischia di mettere a repentaglio il loro giro di mazzette dalla malavita; isolato persino dal padrino di suo figlio, che prova a corromperlo per conto delle famiglie per fargli chiudere le indagini sulla miniera d'oro chiamata Frank Lucas. 

 

Il finale è di notevole impatto. Roberts riesce infine a incastrare Frank e perviene alla resa dei conti finale in un colloquio privato. Richie e Frank, pur essendo divisi da una galassia per censo, caratteri, stile di vita, provano una bizzarra affinità l'un per l'altro. Richie come Frank depreca i poliziotti corrotti sopra tutto, sono loro il suo vero bersaglio: il criminale delinque, certo, ma in un mondo normale la mission del poliziotto dovrebbe essere perseguire il crimine, non abbeverarsene alla fonte. L'etica del lavoro e il senso del dovere radicati in Frank fan pensare che nascendo in un ambiente diverso da Harlem sarebbe potuto diventare addirittura un poliziotto di sani principi; e forse Richie, al posto di Frank, si sarebbe trasformato in un criminale "coscienzioso" e discreto quanto il suo dirimpettaio. Sono due facce della stessa medaglia. Anche per questo film viene buona la massima di Frank Costello in The Departed: "Quando avevo la tua età, i preti ci dicevano che potevamo diventare poliziotti o criminali. Oggi quello che ti dico io è questo: quando hai davanti una pistola carica, qual è la differenza?". Qual è la linea di demarcazione tracciata in questo film tra tutori della giustizia e criminali? Esiste veramente o è solo una sovrastruttura della mente umana? 

 

 

 

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