Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Ascesa e caduta, la storia dei gangster (movie) sta tutta quì, nel potere prima ambito e poi imposto, nelle tante vittorie e nell’unica sconfitta, nell’onore e nell’infamia, nel sangue che scorre a fiumi per le strade di Chicago, New York o Miami.
Il nome del protagonista non è rilevante, che si chiami Vito Corleone, Tony Montana o Al Capone non fa alcuna differenza, per tutti il destino è già segnato, il viaggio criminale non può che essere di sola andata, prendere o lasciare.
Frank Lucas ovviamente prende, cresciuto all’ombra di Bumpy Johnson segue tutte le tappe dell’inevitabile scalata, autista, esattore, sicario ed infine “confessore” dell’indiscusso padrone di Harlem, ne ascolta con attenzione i consigli, i preziosi diktat sulla vita e sul business.
E quando finalmente arriva il suo momento Lucas è pronto, rischia con la droga importata dal Vietnam e sbanca il mercato, surclassa gli italiani e per una manciata di anni si trasforma nel più importante boss del narcotraffico presente sul suolo americano.
Ad incastrarlo ci penserà un onesto e coriaceo poliziotto con la complicità (non richiesta) di un eccessivo cappotto di cincillà.
"L'uomo per cui lavoravo aveva una delle più grandi imprese di New York, l'ha diretta per più di cinquant'anni. Per quindici anni, otto mesi e nove giorni sono stato sempre con lui, lavoravo per lui, lo proteggevo, gli guardavo le spalle, ho imparato da lui. Bumpty era ricco, ma non ricco da bianco, lui non era un milionario, non era il padrone della sua impresa. Credeva di esserlo, ma non lo era, la dirigeva e basta. I padroni erano i bianchi ed erano i suoi padroni. Nessuno è il mio padrone, invece. Perché la mia impresa è mia. E la mia impresa vende un prodotto che è migliore di quello della concorrenza, a un prezzo più basso di quello della concorrenza"
La storia è vera e Ridley Scott ci tiene a ribadirlo nella didascalia iniziale, poco più di cinque anni nella vita del criminale Lucas (Washington) e in quella del poliziotto Roberts (Crowe) che alla fine gli mette il guinzaglio, finalmente un ritorno a buonissimi livelli per il regista di capolavori indiscussi come Blade Runner e Alien, un centro pieno dopo tanti (troppi) film discutibili.
Ovviamente un paragone con le opere sopracitate non è possibile, American Gangster non ha la caratura della pietra miliare (del film indimenticabile) ma di certo ci restituisce un regista in splendida forma, completamente padrone del materiale narrativo a sua disposizione e assolutamente in grado di amalgamare, in maniera ottimale, tutte le componenti fondanti dell’arte cinematografica (regia, soggetto, sceneggiatura, fotografia e musica).
American Gangster è un film di sicuro impatto che Scott ci presenta quindi nel migliore dei modi, più di due ore di grande spettacolo che non ci annoiano mai, i ritmi di certo non sono sostenuti ma lo spettatore neanche se ne accorge, merito dell’incisiva messa in scena del regista ma anche dell’ottima (fondamentale direi) sceneggiatura di Steven Zaillian.
Da questo punto di vista è interessante notare come nonostante l'evidente mancanza di originalità la storia non presenti mai dei momenti “sbagliati”, il percorso di Lucas è prevedibile in tutto il suo iter criminale ma noi siamo assolutamente presi dal racconto, completamenti assorbiti dal duello a distanza tra i due protagonisti.
Zaillian caratterizza al meglio le due figure principali ma anche tutti i personaggi secondari, dall’ex moglie di Roberts (Carla Gugino), alla madre di Frank (Nomination per Ruby Dee), dal mafioso Cattano (straordinario Assante), al poliziotto bastardo Trupo (ennesima conferma per Brolin).
Notevole anche il lavoro tecnico, le affascinanti scenografie, la ricostruzione della New York anni ’70, i costumi, la fotografia sporca, cupa, perfettamente funzionale al racconto, tutto impeccabile, nessuna sbavatura evidente.
E allora dico...fanculo la poca originalità.
Dei due attori protagonisti è quasi superfluo parlare, Denzel Washington in versione bad boy non è una consuetudine, eppure aveva già dimostrato tutto il suo talento nel precedente Training Day (che gli fruttò un Oscar), con l’interpretazione di Lucas fa di nuovo centro, si muove sinuoso tra alti e bassi, toglie e mette a seconda delle esigenze, ci rende un personaggio ambiguo e ricco di sfumature, dominato dai toni medi.
Crowe non gli è da meno, credibile in versione avvocato impacciato e in quella di poliziotto onesto “per forza”, la vera dimensione di Roberts traspare nello splendido dialogo con la moglie nell’aula di tribunale (in realtà un monologo della Gugino), restare “pulito” a tutti i costi non giustifica le sue mancanze, il suo evidente egoismo di fondo.
In definitiva un ottimo film di genere, Scott torna finalmente ai livelli che gli competono e firma un opera dal grande respiro che ci godiamo con piena soddisfazione, un film che forse non verrà ricordato in eterno ma che per tutta la sua durata (non ho visto la versione extended) fa in pieno il suo dovere.
Voto: 8
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