Regia di Mike Nichols vedi scheda film
La strana alleanza fra un deputato gaudente, una miliardaria ultraconservatrice e un umorale agente CIA di origine greca produce un’alleanza ancora più strana fra paesi cristiani, ebrei e musulmani che, messi di fronte alle ragioni della realpolitik, appianano i contrasti reciproci: il risultato sarà la sconfitta sovietica in Afghanistan e, in prospettiva, il collasso interno dell’URSS. Nichols, che da qualche tempo sembra tornato in ottima forma, pianta una zampata che ricorda piacevolmente il suo stile anni ’70. Dietro il tono leggero e la sorniona ambiguità, dietro l’affilata ironia e le battute a raffica (“è stato come farsi schiaffeggiare dai fratelli Marx pakistani”), il regista fa un discorso serio sulla politica estera del suo paese: gli americani sanno vincere la guerra, ma perdono sistematicamente la pace (la commissione parlamentare arriva a centuplicare lo stanziamento iniziale per gli armamenti, ma poi è restia a elargire quattro soldi per finanziare la ricostruzione). La raffigurazione dei giochi sporchi che si svolgono nel sottobosco del potere è, temo, molto realistica e anche molto attuale: si parla di Afghanistan, ma ovviamente si allude all’Iraq. Una riflessione di carattere generale: forse gli americani sono così cinici di fronte alla guerra anche perché non sanno più cosa significa combatterla sul proprio territorio (l’ultima volta è stata nel 1865, ed era una loro questione interna).
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