Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
“What are you looking so miserable about? There's a whole ocean of oil under our feet! No one can get at it except for me!”
Sud della California, inizio del '900: Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis) è un minatore come tanti, magari solo più risoluto e perseverante; diventa anche più fortunato allorché trova il petrolio, dimostrandosi pronto a far fruttare al meglio il giacimento trovato.
Lo aiuta ancora una volta il caso quando a morire per un incidente è il malcapitato compagno di lavoro in un pozzo, di cui accudirà il figlio H.W. (Dillon Freasier), trovato in una cesta, come fosse suo.
Da buon self-made man, Plainview si mette in affari e gira lo Stato promettendo lavori di trivellazione sfavillanti con la sua neonata ditta, che si propaga e ingrassa grazie alla nuova febbre dell'oro (stavolta quello nero) e in parte anche grazie all'aspetto da buon padre di famiglia vedovo che Plainview dà furbamente di se stesso.
Un giorno, su imbeccata di un balzano giovane, Plainview e il socio in affari Fletcher Hamilton (Ciarán Hinds) decidono di acquisire un grosso territorio da quattro soldi, non coltivabile ma, a quanto pare, trasudante di petrolio che sgorga fino in superficie. Ingannando inizialmente i residenti, Plainview diventa il loro benefattore quando iniziano i lavori, che promettono prosperità, ampliamenti, istruzione e civiltà. Ma il giovane Eli Sunday (Paul Dano), gemello del ragazzo della soffiata e fanatico religioso, chiede insistentemente garanzie e finanziamenti per la costruzione della Chiesa della Terza Rivelazione; la cosa si farà, ma lo scontro aspro con Plainview mette alla berlina tutti i difetti dell'espansionismo capitalista e dogmatico: cupidigia contro arrivismo, bramosia contro inganno, violenza contro arroganza. “There will be blood”...
Tratto molto liberamente da un romanzo di Upton Sinclair, “There will be blood” non è che la conferma dello sfavillante e polimorfo talento di Paul Thomas Anderson, anche qui unico responsabile di sceneggiatura e regia. L'ambizione del “nostro” si evidenzia già dal sorprendente e ardito prologo di circa un quarto d'ora, praticamente muto, nel quale a parlare è solo la potenza delle immagini, ovviamente amplificata dall'eccezionale apporto alla scenografia di Jack Fish e alla fotografia del solito Robert Elswit. A proposito di amplificare, sul piano sonoro va segnalata l'originalità della colonna sonora a cura di Jonny Greenwood, chitarrista solista dei Radiohead, peculiare e ben studiata per emergere solo nei momenti topici.
Nonostante la gelida ferocia con cui Anderson mette in scena l'assurdità di un'America in crescita a discapito dei valori fondanti, ciò che si ricorda meglio del film, anche a distanza di tempo, non può che essere la prova recitativa di un Daniel Day-Lewis al riparo da qualsiasi critica: già attore lunatico e selettivo, per questo film si è preparato in maniera maniacale, curando approfonditamente parlata, accento, conoscenze e maniere per restituire un personaggio dai tratti unici. Così così, invece, il “co-villain” antagonista Paul Dano, che si sbatte come un dannato (e l'audio originale gliene dà sicuramente atto) per interpretare il giovane invasato religioso, ma è probabilmente proprio il suo personaggio a deficitare di personalità, vuoi per una lacuna di tratteggiamento o per la sua inadeguatezza nel ricoprire il ruolo (peraltro avrebbe dovuto interpretare solo il gemello, stando alle intenzioni iniziali). Bravissimo Dillon Freasier, classe '96, alla sua prima e finora unica apparizione cinematografica, carriera a cui il ragazzo pare non voler dare un seguito.
Continuando a voler cercare il pelo nell'uovo, in “There will be blood” Anderson conferma un difettuccio già ravvisabile in “Boogie Nights”: la difficoltà nel dare una svolta armoniosa al registro, che sembra toccare il nadir sentimentale troppo presto col pestaggio ai danni di Eli e si ritrova dunque “costretto” a mantenere un'atmosfera eccessivamente carica, respirando solo un attimo con la visita del fratellastro interpretato da Kevin J. O'Connor.
La summa, probabilmente, del cinema di P.T. Anderson: abbacinante, magniloquente, forse pomposo, enfatico ma calcolato, quasi certamente un futuro classico. Aspettando la prossima uscita di “Vizio di forma”, dopo le bocche un po' storte per “The Master”...
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