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Il petroliere

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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La recensione su Il petroliere

di FilmTv Rivista
10 stelle

C’è chi ritiene che un film vada considerato come qualcosa di più simile a una persona fisica che a un libro o a una visione: Il petroliere di P.T. Anderson, che apre sul suo protagonista che alla fine dell’800 trivella sulla crosta di tutta la California per raggiungere l’oceano di petrolio che vi giace al di sotto, sembra esserne una vivida conferma. Il regista di Magnolia è sempre troppo vicino a Daniel Day-Lewis, ai suoi occhi che trafiggono di rabbia qualsiasi interlocutore, al ponte del suo naso un po’ curvo a sinistra, sempre in ascolto del frastuono della sua avidità e del rombo che l’ansia genera nei suoi nervi sempre tesi come corde di violini impazziti. È sempre così vicino da rendere impossibile che il film non sia, semplicemente, lui. La sordità del giovane figlio provocata da un incidente presso una trivella, l’omicidio di un impostore che si spaccia per fratello, la collera e l’odio che riversa su antagonisti petrolieri ed evangelisti (il giovane Paul Dano, notevole, rivelatosi con Little Miss Sunshine), sono solo apparizioni rapsodiche sullo sfondo di una osservazione morbosa e microscopica di questa figura che percuote e violenta la terra come in un mito preomerico. Per poi cadere spossato nella notte come una bestia, di alcol e furore. La storia del film – che ha uno dei finali più deludenti che un grande film abbia mai avuto – è quasi un accidente: ciò che vale è lo spettacolo di Daniel Day- Lewis, dei suoi stinchi affilati, della rabbia che gli incurva la schiena, della resistenza callosa delle sue braccia, degli occhi serrati in un fiotto di paura o disprezzo. Anche di spalle, nella residenza aristocratica che testimonia alla fine la sua enorme ricchezza, avrà ai suoi piedi una pozza di sangue – e mai nessuna donna. Come Grande Storia Americana, tratta da un aspro critico di quella società come Upton Sinclair, Il petroliere non dice niente che già non sappiamo sulla follia della ricchezza e del potere. Ma come capacità di trasformare ombre, luci e suoni sullo schermo nella soggettività di una vita fatta di fango e femori sbriciolati, sopraffazione e rapacità, polvere, alcol e sangue, è fatto di 159 minuti di cinema che sarebbe meglio non perdere.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 8 del 2008

Autore: Mario Sesti

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