Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
L'ultima fatica del talentuoso regista Paul Thomas Anderson, "There will we blood" (meglio stendere un velo pietoso e non nominare neanche l'orribile titolo italiano) e' un film ambizioso, molto sentito, sperimentale nella sua costruzione e dunque distante anni luce dal "modo" di fare cinema a cui siamo abituati: a quei prodotti, a volte solo ben confezionati, che ci giungono segnatamente da Hollywood. E in questo senso, e' stata una sorpresa vederlo nominato dall'Academy tra i miglior film della stagione: mentre stupiscono molto meno i premi ricevuti al Festival di Berlino(Orso d'Argento per la regia e miglior colonna sonora) dove peraltro Anderson aveva gia' vinto con il suo altrettanto interessante "Magnolia".
In effetti, la storia del cercatore d'argento Daniel Plainview, che a cavallo del '900 trova invece il petrolio, sarebbe stata raccontata in modo assai piu convenzionale da molti altri registi. Ma Paul Thomas Anderson, come ha gia' dimostrato in passato, e' molto di piu' di un semplice regista illustratore, di quelli che si limitano a raccontare una storia. Nelle sue mani il film diventa un potente affresco sulla nascita del capitalismo e sul fanatismo della religione. Soprattutto un film sull'avidita' di un uomo forte, ostinato e per certi versi eroico: un solitario misantropo che sembra aver venduto la propria anima al diavolo, sotto le vesti dell’oro nero, disposto a tutto, anche a calpestare senza pieta' gli affetti piu' personali, pur di arrivare al successo. Dedicato nei titoli di coda alla memoria del suo Maestro Robert Altman, il film di Anderson e' un'opera titanica che richiama da vicino tanto il cinema di Orson Welles (Quarto Potere) che quello di John Huston (Moby Dick). Grande Cinema dunque. Ad incominciare dal superbo inizio, quindici minuti di religioso silenzio assoluto, nel quale non si pronuncia una singola parola. Un prologo che sembra uscito dal miglior Cinema Muto e con il quale Anderson lancia la sua sfida al pubblico. I momenti di cinema assoluto non mancano: in primo luogo, come gia' detto, tutto i memorabili 15 minuti iniziali, che sembrano usciti dal miglior Griffith. Ma sono impossibili da dimenticare anche alcuni momenti che segnano il rapporto ambivalente tra Plainview e suo "figlio": ad esempio tutti quelli in cui il bambino "viene usato" per carpire la fiducia delle varie famiglie; quello visivamente magnifico (molti sono i meriti dell'operatore Robert Elswit, capace con la sua sontuosa fotografia, di restuirci durante tutto il film persino l'odore e la viscosita' del petrolio) dell'esplosione del pozzo petrolifero, che costa l'udito al bambino. E ancora quello straziante in cui, senza esitazione, Plainview lo abbandona poi sul treno: un bambino sordo, non gli e' piu' utile: agghiacciante. Senza contare la sequenza per cui il film verra' ricordato un po' da tutti: mi riferisco ovviamente a quella "del battesimo", la pagina senza dubbio piu' intensa del film, quella che segna il momento di scontro tra l''anima capitalistica, spregiudicata e avida di Plainview e quella religiosa, invasata, melliflua ed altrettanto assetata di potere del giovane predicatore. Grandi momenti che si alternano pero' a momenti di stanca. La ricerca dell'anticonvenzionalita' a tutti costi, non sempre paga. "There will be blood" e' infatti un film poco fluido, difficile nella sua antispettacolarita': un macigno insormontabile per la maggior parte degli spettatori (ho visto molti abbandonare la sala a fine primo tempo, indispettiti..."ma quale film da Oscar"...scene impagabili nella loro stupidita'), lungo e a tratti macchinoso, "pesante" (sebbene "pensante") come spesso lo sono i grandissimi film.
Ma "There will we blood" e' soprattutto un film che ha il limite di esser prigioniero della figura del suo protagonista. Daniel Day Lewis nel ruolo di Daniel Plainview e' certamente monumentale: difficile immaginare qualcuno capace di mostrare meglio di lui l'avidita', la solitudine e la rapacita' del suo personaggio, piu' bravo nello scomparire dentro di esso. E' incredibile. Recita nel corso del film con ogni parte del corpo: inizia con le con le mani, le unghie, le gambe e gli stinchi, nel prologo: poi con gli occhi (lo scoppio del pozzo di petrolio) e finisce con la "schiena", nell'inquadratura sul finale, nella sua mega casa con pista da Bowling inclusa...Una menzione a parte merita anche il lavoro fatto da Jonny Grennwood dei Radiohead per la colonna sonora: uno "score" assai poco classico, innovativo, fatto di suoni stranianti, maledettamente ossessivi, dunque assolutamennte perfetti per il film.
Tutta la parte finale del film lascia invece un po' perplessi. Le altre due sequenze "madri" del film, (il faccia a faccia con il figlio ormai cresciuto e quello conclusivo, con la violenta resa dei conti con il predicatore, un bravissimo Paul Dano...ma tale e quale all'inizio...che crema per il viso ha usato? :-) giungono infatti, sebbene il film duri circa 2 ore e 40 min, un po' troppo frettolosamente per come sono slegate dal resto del film. E sono anche eccessivamente "sopra le righe". Ma bisogna riconoscere che la frase finale del film, "ecco ora ho finito", e' una chiusura di grande effetto: il titolo lo diceva, "ci sara' sangue" e alla fine, e' quello che scorre. Voto: 7,5
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