Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Ci sono stati alcuni momenti, nel corso di questa appassionante visione, in cui ho avvertito la sensazione che le mie emozioni vibrassero all'unisono con quelle di tutti gli altri in sala; ecco: è in questi momenti (perdonate la frase un pò cialtrona, ma sincera) che trovo la conferma che "il Cinema è una Magìa". E' un film talmente grande, epico, importante, maestoso, imponente, che ci si può perdere dentro, come è successo a me. Forse ho utilizzato qualche aggettivo sbagliato, qualche aggettivo che può far pensare a scene di massa o a grandi battaglie, e invece questa è la storia di un solo uomo, ma che riempie lo schermo come fossero centomila. Raramente al cinema s'era visto rappresentare una personalità con tanta potenza e tanto furore devastante. E questo furore ha un nome: Daniel Plainview, che da umile minatore in cerca disperata d'argento, diviene magnate, avido e spietato, del petrolio, rappresentando dunque l'essenza della nascita e sviluppo del moderno Capitalismo. E di quest'ultimo la vicenda è metafora perfetta; Plainview possiede tutte le stigmate e le ossessioni della vocazione capitalista: il desiderio di accumulare continuamente, di dominare gli altri, di rinchiudersi nella propria fortezza di vincitore, di primeggiare ad ogni costo, di individuare in chiunque un ostacolo ai propri obiettivi, di far assurgere il profitto a significato supremo che sostituisce perfino la religione. E' strano, ma questo film non permette alla mia memoria di estrapolarne, come avviene di solito, due o tre scene memorabili, perchè la pellicola (compatta) è TUTTA memorabile; a ripensarci, nel film non ci sono quasi mai momenti in cui ci si può rilassare, perchè la sua furia cupa è talmente intensa e senza pause che il film (pur lungo 158 minuti) si beve quasi d'un fiato, tanto la potenza del personaggio-Daniel ti riempie e non ti molla un istante. Il magnetismo del protagonista fa sì, come accennavo prima, che il suo carisma presente in ogni inquadratura, renda difficile individuare delle sequenze "clou", proprio in quanto "clou" è tutto il film. Il sottoscritto, avendo avuto qualche vaga informazione sulla pellicola, si era accostato alla visione mantenendo come riferimento ideale "Aviator" di Scorsese: beh, questo film è proprio tutta un'altra cosa. Molto piu' coraggioso, cupo, nichilista, devastante, e molto meno classicamente hollywoodiano. Ed è anche un film molto duro, con pochissimi ammiccamenti allo spettatore, anzi a tratti spiazzante. Per tutti questi motivi (ed altri che approfondirò) gli 8 Oscar a cui è candidato, questo bel film se li merita proprio tutti. Ma parliamone subito degli attori. Anzi: dell'Attore; sì, perchè questa prova di DANIEL DAY LEWIS è talmente IMMENSA che resterà per sempre negli annali del Cinema. E io non sono di parte, in quanto Day Lewis, pur apprezzandone le doti, non mi aveva quasi mai trasmesso entusiamo. Ma qui è diverso. Qui mi ha lasciato letteralmente basìto perchè poche volte avevo assistito ad una performance così POTENTE ed intensa. Ci sono momenti in cui la sua aderenza alla folle ossessione che domina il personaggio è talmente elevata da lasciare senza parole gli spettatori. Col brillante risultato che i suddetti (spettatori) restano inchiodati alla poltrona infischiandosene della durata infinita della pellicola. A questo punto vorrei replicare brevemente a quei critici che hanno accusato Day Lewis di eccedere in "gigioneggiamenti": ragazzi, per trovare una performance del genere bisogna andare indietro fino ai tempi del miglior De Niro, e voi mi andate a tirare fuori le "gigionerìe"??!!. Determinante nella vicenda è il rapporto controverso che il protagonista ha col figlio, un rapporto complesso: dapprima -pur essendo ancora bambino- è assistente e socio principale del padre, poi il ragazzo (in seguito ad un clamoroso incidente) perde completamente l'udito e questo sconvolge la mente di Plainview che da quel momento in poi lo guarderà con altri occhi. Quel che è certo è che questa sopraggiunta menomazione scatenerà un conflitto fra i due che esploderà quando il figlio, diventato adulto, affronterà il padre a viso aperto. E' poi interessante notare come questo uomo "che si è fatto da sè" (nella tradizionale iconografia capitalista da sogno americano di chi ha iniziato raccogliendo spilli per poi diventare tycoon) quando conosce il piacere superiore di accumulare beni e ricchezze dimentica la propria sensibilità sociale e perde i contatti con le sue umili origini, spingendo la propria concretezza solo in direzione di nuovi profitti. Altro tema importante affrontato sapientemente è quello del rapporto conflittuale fra potere economico e potere della religione, rappresentato quest'ultimo da un giovane predicatore fanatico che ingaggia col petroliere una sfida ossessiva destinata fatalmente a risolversi in tragedia. Un doveroso cenno alla straordinaria ed affascinante colonna sonora curata da Jonny Greenwood dei Radiohead. Attenzione: non aspettatevi la consueta orchestrazione tronfia da "filmone da Oscar"...no, qui abbiamo un mix insolito di archi con battiti elettronici di sapore quasi sperimentale, e bisogna anche dare merito al coraggio di Anderson che ha "osato" inserire sottolineature sonore così ardite, e che però alla fine sortiscono un effetto funzionale e suggestivo.
In definitiva, questo film è il ritratto di un uomo solo, incapace di costruire rapporti affettivi intorno a sè, e condannato dal proprio egocentrismo all'eterna solitudine. E per portare a termine, con successo, un progetto così ambizioso ci voleva, evidentemente, un regista con gli attributi.
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