Regia di Rob Zombie vedi scheda film
Questo remake del capolavoro di Carpenter si presenta nettamente diviso in due. Nella seconda parte Rob Zombie rifà effettivamente Halloween col suo bravo Michael Myers, il suo dottor Loomis, le babysitter, il massacro e la caccia all'uomo. Proprio come ci aspetteremmo da un iniziato dell'horror anni '70; ma nella prima sceglie di raccontare il background del boogeyman dalla maschera grigiastra, un vero e proprio prequel sull'infanzia del mostro e il contesto sociale da cui proviene.
Per alcuni il risultato sarebbe un film più riuscito e personale in questa prima parte, eretica rispetto all'idea carpenteriana di un Myers "incarnazione del male" alla cui brutalità omicida il film del 1978 non si preoccupava minimamente di trovare motivazioni o avvisaglie come per un banale serial killer; Zombie abbasserebbe poi il tiro nella seconda parte, mantenendosi scrupolosamente fedele - pur senza girare un remake shot for shot - all'illustre modello. Elementare.
Ma sarà poi vero?
Il film si apre su fondo nero con le parole del dottor Loomis: <<le anime più oscure non sono quelle che scelgono di esistere entro l'inferno dell'Abisso, ma quelle che scelgono di liberarsi dall'Abisso e camminare in silenzio tra di noi>>. E la lettura più immediata, non appena entrati nel mondo del piccolo Michael Myers, è davvero quella sociale: vessato dai compagni di scuola e trascurato dalla sorella maggiore e dal patrigno alcolista, Michael mostra tutte le perversioni infantili di un Albert Fish o di un John Wayne Gacy (tra i serial killer raccontati da Captain Spaulding nel primo film di Zombie, La Casa dei 1000 Corpi); oltre a nascondere il viso dietro maschere artigianali, tortura e uccide piccoli animali. Poi, Carpenter consule, nella notte di Halloween esplode la violenza, da cui si salvano solo la madre del bimbo e la sorellina di pochi mesi; quindici anni dopo Myers evade dal manicomio criminale, giusto in tempo per il 31 Ottobre. Letta in chiave sociale, la sua furia incontrollabile è lo scontro tra due mondi confinanti ma ben delimitati: lo squallore e la povertà che svezzano i mostri e la tranquilla cittadina piccolo-borghese in cui esse si annidano. Se l'"Abisso" di Loomis è l'inferno di una vita da reietto, il killer di Zombie ricorda ora i cannibali protagonisti del suo film-faro Non Aprite quella Porta, ora Carrie, ora perfino una versione terrena e vendicativa dei freaks "della porta accanto" di Tim Burton, con una villetta buia e dimenticata al posto del maniero di Edward Mani di Forbice o delle fogne di Gotham City.
Ma questi sono tutti personaggi capaci di generare, se non proprio simpatia, almeno comprensione. Il piccolo Michael no, non fino in fondo. Guardarlo negli occhi ("gli occhi del diavolo" come li chiama Loomis) genera quasi un horror vacui, qualcosa che non può dipendere solo dal contesto in cui è cresciuto. L'opinione di chi scrive è che il soprannaturale non abbia affatto abbandonato la scena come si è spesso detto, anzi, in questo essere così istintivamente sgradevole si radunano a decine i segni della divinità, di una divinità rovesciata: biondino, angelico, paffuto, ma con gli occhi gelidi; una madre buona, mite, pura, ma suo malgrado prostituta; il volto sempre coperto (in tanti culti raffigurare i lineamenti del dio è proibito); i capelli lunghi, su cui il regista indugia inquadrandolo spesso di spalle; quando l'inserviente che l'ha accudito per quindici anni implora pietà ricordandogli di averlo sempre trattato gentilmente, Michael ne prende atto accanendosi su di lui più che su chiunque altro, rispondendo cioè al bene con il male; quando sua sorella - l'unica che aveva risparmiato - non riconoscendolo lo colpisce, Michael perde ogni riguardo nei suoi confronti, l'ultima scintilla di pietà lavata via come un Peccato Originale.
Il "male puro" del film di Carpenter e il suo misticismo non scompaiono, scelgono solo una forma più concreta e familiare, più efficace in un mondo sempre meno disposto a credere alle streghe. Nella predicazione sanguinaria di questo "Wrong-eyed Jesus" sta il punto di tramite tra la pura idea di male (l'altro "Abisso") e il male di ogni giorno, tra l'eleganza ultraterrena di John Carpenter e la concretezza più hooperiana di Rob Zombie, fra il limbo dell'agiatezza e gli spettri di un'America nascosta, inquieta e crudele. Se il Loomis di Carpenter era convinto fin dall'inizio della natura soprannaturale di Myers, quello di Zombie sotto sotto non ci crede, ci lucra anche sopra, e a tre quarti del film viene "convertito" in maniera esemplare. Proprio come noi. Viene fuori che il remake per-metà-coraggioso-e-per-metà-succube è in realtà fra i più fedeli degli ultimi anni (meravigliosa, e oltretutto filologicamente corretta, la scena in cui la bambina guarda in tv La Cosa da un Altro Mondo, rifatto dallo stesso Carpenter nel 1982). Se il cinema dei maestri è Verbo, Rob Zombie si diverte a fare il profeta.
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