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Io sono leggenda

Regia di Francis Lawrence vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Io sono leggenda

di lussemburgo
6 stelle

Nelle sue grandi linee, il film non aggiunge molto alle pellicole analoghe su zombi o pandemie letali (28 giorni dopo e sequel), con tanto di fotofobia vampiresca e riferimenti incrociati a tutte le convergenze dei filoni orrorifici precedenti. Sebbene efficaci nel creare sussulti, le creature sono spesso troppo digitalizzate per necessità di moltiplicazione da essere veramente inquietanti, mentre la forza esorbitante che possiedono le rende temibili e terribili animali antropomorfi degni di un videogioco sparatutto in cui il protagonista, in soggettiva, provvede ad eliminarne il maggior numero.
Allora, forse, il senso del film è altrove. In un titolo magniloquente e in prima persona che pare alludere ad una mitologia di nuovo conio, ad una persona che diventa personaggio leggendario, le cui gesta vengono ripetute negli anni, travisandone i dettagli e perpetuandone il senso in un futuro dove, improvvisamente, riprende vita. Eppure della leggenda il protagonista non ha i presupposti; solo il caso lo rende tale, una casualità barbara e crudele che diventa immagine dell’umana inadeguatezza. Perché il personaggio di Will Smith non cessa di essere dominato e sconfitto dagli imprevisti, dalla variazione impensabile di un virus manipolato che diventa terminale, dalla morte della famiglia per un incidente, sino alla sopravvivenza per un’inaspettata immunità. Tutto è sempre casuale, indeterminabile, e il personaggio non può che assoggettarsi alla supremazia di un forza ben superiore ai suoi mezzi e intenzioni, ad una volontà ed un libero arbitrio condizionati da eventi di portata maggiore. Lo governa una fatalità sadica che ascende a predestinazione solo nelle parole e nelle convinzioni della giovane superstite che vi legge un segnale divino di rinascita e di cui ravvede la dimostrazione nella scoperta miracolosa di una cura, anch’essa, però, solo frutto tardivo del caso.
Solo l’imponderabilità dell’alea fa del protagonista una leggenda, figura mitica di salvazione che, cristologicamente, si immola per la salvezza del mondo. Nella realtà, il film narra la storia di una tragedia intima che si tinge di apocalisse mondiale, parla di frustrazione e di dolore, di solitudine opprimente e dell’incapacità di affrontare la morte; è l’elaborazione di un lutto privato che si espande all’intero pianeta e alla quasi totalità della razza umana. Incapace di accettare la fine di ogni cosa nota e sensata, il protagonista ricrea palliativi di vita collettiva attraverso la ricostruzione mimetica di routine giornaliere, monologhi mascherati da dialoghi con cani o manichini, il tragico bisogno di normalità e di senso che solo la ripetizione sembra tramandare, in una visione degradata e speculare di un’esistenza precedente che incarnava un accesso alla felicità o un’ipotesi di normalità.
La soggettiva rende il complesso del film una visione distorta del mondo, in cui le creature diventano demoni interiori delle paure di quella cancellazione e perdita di senso che la morte impone. Una morte che si fa progressivamente vittoriosa e trascina a sé un superstite stanco e affranto dagli ultimi decisivi lutti e che finisce per accoglierla per sfinimento, come l’unica possibilità di liberazione e di scelta autonoma. Una scelta definitiva che, sarcasticamente, relega il personaggio nel mito, ammantandolo di un’aura sovrannaturale che la persona non aveva, perpetuandone un’immagine alterata. È solo la morte che dà significato ad una vita il cui senso si era perso nel dolore e nel lutto, in un’insopportabile solitudine nascosta dalla reiterazione dei gesti, e crea una mitopoiesi involontaria da ciò che era solo aspirazione al suicidio. Io sono leggenda è la cronaca di un inevitabile e progressivo sprofondamento nella follia, nascosta tra le pieghe di uno spettacolo per grandi platee.

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