Regia di Gianni Zanasi vedi scheda film
Punk è morto? Riposa forse, Stefano chitarrista di medio successo causa “stage diving” catastrofico del suo cantante e successiva prova del tradimento della sua ragazza trovata a letto con un esimio collega strumentista, decide di abbandonare la vita cosmopolita metropolitana di Roma e tornare per un periodo di riflessione tra la sua famiglia nella sonnacchiosa provincia laboriosa e ipocrita.
Trova così la sorella alle prese con i delfini, il fratello sull’orlo della separazione e del fallimento con la ditta ereditata dal padre e altre piccole storie di gente molto molto comune.
Zanasi anche autore del soggetto e della sceneggiatura mette in scena una commedia amara garbata e triste, in cui un Mastrandrea trattenuto e sempre più intenso funge da cardine inconsapevole e inaspettato per smuovere le paludose vite dei suoi congiunti. Una favola umana simpatichella nostalgicamente leggera in cui la sceneggiatura preme sull'immagine escludendo il cinema, salvo qualche scena azzeccata. Infatti è nell’elaborazione della precisa e partecipata sceneggiatura il cuscinetto su cui si muove il film, latitando in maniera importante la ricerca della messa in scena. I personaggi sono approfonditi nei caratteri, coerenti nelle reazioni emotive, ben recitati da un piccolo ensamble di attori emergenti, sui quali spicca Mastrandrea che meriterebbe occasioni per un cinema ancora più di spessore per la qualità con la quale rilascia le emozioni, le rende credibili solo con accenni del viso, un atteggiamento del corpo, attore che ormai ha raggiunto una maturità mai toccata da nessun altro nel recente panorama attoriale italiano. Sua la scena migliore, quella che anche da un punto puramente visivo è la più evocativa, secca, drammatica: Stefano ubriaco che irrompe in una villa per eseguire un pezzo di Chopin al piano, senza parlare, senza dire nulla, senza essere nulla in quel momento, il cinema si riconcilia con la scrittura che su di lui prende letteralmente corpo. Film di speranze deluse e altre in arrivo, Zanasi mostra lo smarrimento dei sogni, l’affogare dentro una vita che pretende di essere vissuta e basta senza alcuna passione. Il meccanismo della commedia è quello del corpo estraneo (Stefano) inserito in una situazione consolidata per smontarne gli assunti, normalità che filtrata dallo sguardo del ribelle post punk sui 35 suonati, assume connotati grotteschi, equilibrando però i vari registri in modo da non cadere né nella farsa, né nel drammone famigliare alla Von Trier. Leggerezza filtrata da una vena di amarezza, è comunque un cinema, quello di Zanasi che ancora non riesce ad affrancarsi completamente dal messaggio da veicolare, con il pregio però di non essere smaccatamente didascalico, un cinema ancora legato a temi generazionali, di insoddisfatti trentenni, della ribellione dalle catene della società, del dove siamo e dove stiamo andando. Queste le domande che filtrano dal film, ma in realtà la domanda vera alla quale Zanasi non dà risposta alcuna è : ma il Punk è poi morto? Non si sa.
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