Regia di Michael Patrick King vedi scheda film
E' stata la prima volta in vita mia che mi sono vergognato per aver visto un film. Animato dalle più buone intenzioni ero curioso di assistere alla trasposizione cinematografica di un serial così originale. Il risultato, sotto i limiti della decenza. Di Sex c’è poco, quello fatto è goffo e insulso, il resto (s)parlato senza cognizione di causa, solo volgare della volgarità senza ironia tipico delle donnette giunte a sparare le ultime cartucce. Di City neppure a parlarne. New York esiste trasfigurata in una demente, continua, inutile sfilata di moda in cui le tra attempate protagoniste sfoggiano senza alcun motivo improbabili modelli ai limiti del ridicolo e dei quali non ci si risparmia di rimarcare la griffe alla quale quella determinata mise che appare nella scene corrisponde. Manca invece la messa in scena, ovvero una qualsiasi idea di cinema. Siamo in presenza di una lunga, profondamente stupida puntata di Nonsolomoda in medley con Lucignolo. Una sceneggiatura cicaleggiante giocata sui toni melensi del patetismo/romanticismo da libro Harmony “veste” le bocche nei primi piani ostentati di coiffeur dei malcapitati protagonisti, impegnati a contorcersi le sinapsi in cerca di dare un minimo di credibilità a battute di una demenza tale che i Vanzina al confronto sembrano scrittori da Nobel. E’ mortificante assistere a questi spettacoli, questo raschiare le idee esaurite dal fondo del barile con le unghie smaltate. Queste Cenerentole depresse la cui vacuità intellettuale millantata per fragilità femminile è un’offesa all’intelligenza. Vegliarde mollicce che giunte gagliarde dai trent’anni in cui il serial aveva inizio e stupiva per spregiudicatezza e stile, arrivano ora a ciarlare d’amore adolescenziale, di carnalità gerontofila e già mitizzata, portatrici del patetismo inconsapevole e crudele proprio delle balene spiaggiate che dibattono la coda in cerca di attirare attenzione per l’ultima volta. Il tutto infilate a forza in tubini, corsetti, gonnine e tacchetti dai quali tracima la panza, si dibatte come un anguilla in agonia il molliccio sottobraccio, i ditoni pittati si incancreniscono e la credibilità si squaglia e puzza come un’alga al sole d’agosto. I personaggi sono piatti e inespressivi come manichini che delegano il loro spessore all'ennesima ardita combinazione di vestiti, fulcro sul quale ruota tutto l'impianto drammatico del film. Essi si dibattono in una zona di tempo parallela che sta tra la realtà, della quale scimmiottano qualche patema, e la fiaba della quale non riescono a raggiungere la catartica leggerezza, restando impantanati in un limbo di ottusa sterilità emotiva. A tutto questo si aggiunga una regia INDECENTE, persa nel seguire lo squallore morale dell’operazione che pretende di essere punto di riferimento per stile e costume ma risulta essere solamente un raffazzonato e amatoriale reportage di un nulla senza una minima idea di movimento di macchina, di espressività stilistica, di capacità di affabulazione ed affogato in una melliflua fotografia flou, soffice e patinata che assomiglia tanto alle cialtronesche performance erotiche delle rifatte, tristi modelle di serie B dei servizi notturni di Penthouse degli anni ’80. Tutto è fermo, fasullo e immobile come una pagina di giornale, le scene si stiracchiano dilungandosi in ignobili siparietti da Bagaglino, la noia monta e non molla per tutte le due ore e quaranta di pacchiana esibizione di brand ed essendo il film stesso brand di sé stesso si assiste ad un cortocircuito visivo che disgusta. Il “cosa si sta guardando” si trasforma in “perché?”. Perché guardo? Lo sguardo è pornografico, se pornografia è il sezionamento del corpo in cui un atto scontornato dal contesto genera un’emozione e rappresenta la parte per il tutto, quest’immensa discarica di sentimentalismo, stilismo, sessismo stupido, non divertente, non intelligente e meccanicamente rappresentata, corrisponde ad un atto esibizionista e rivoltato su se stesso come un’autofellatio ripresa in primo piano. E la domanda non trova alcuna risposta adeguata. Tutta l’ironia sottile della serie televisiva, la curiosa e sfacciata connotazione femminile, l’intelligente e discreta “sensazione” dello stile e della moda che faceva da corollario e scenografia alla vita delle quattro ragazze immerse in questo contesto di cultura del bello, non esiste. Tutto è solo sciocco quando dovrebbe essere ironico. Tutto è patetico quando dovrebbe essere drammatico. Tutto è ostentato. Sentimenti, vestiti, pettinature, recitazione. Pessimo film di profondissimo cattivo gusto.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta