Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Un po' passato di cottura, tutt'altro che imbolsito, Indiana Jones torna a imperversare sugli schermi, e guai a chi osa definirlo un canto del cigno. Con avventure che sembrano, se possibile, ancora più mirabolanti di quelle delle puntate precedenti, tra momenti gore, indovinelli e, novità, una sorprendente sensibilità politica sottotraccia.
Un po' passato di cottura, tutt'altro che imbolsito ("vecchio, non obsoleto", per dirla alla Schwarzenegger-Terminator), Indiana Jones torna a imperversare sugli schermi, e guai a chi osa definirlo un canto del cigno. Con avventure che sembrano, se possibile, ancora più mirabolanti di quelle delle puntate precedenti (la fagocitazione del perfido colonnello Dovchenko da parte delle formiche rosse resta un momento gore a cui non eravamo pronti, ma nondimeno da applauso), balzi poco coerenti da un capo all'altro del continente americano – un attimo prima precipita dalle cascate di Iguaçu, il momento dopo eccolo in cima a una piramide Maya – indovinelli a gogò stile quesito con la Susy, lingue stramorte da un pezzo ma lette e parlate con assoluta padronanza, edifici costruiti migliaia di anni fa con meccanismi a incastro perfettamente operativi che se li sogna pure Renzo Piano: insomma, come il vecchio programma Odeon, tutto quanto fa spettacolo. E siccome il personaggio del docente-archeologo si presta a essere riempito dei contenuti più vari a seconda delle epoche e dei luoghi in cui ha la ventura di capitare, la novità di questo quarto – e per il momento ultimo – episodio della serie è una sensibilità politica sottotraccia, con conati di antiamericanismo nell'implicita denuncia degli esperimenti nucleari ad Alamogordo (manco a dirlo, Indy sopravvive al fall-out senza neanche perdere un pelo) e degli eccessi del maccartismo. Critiche velate, per carità, e comunque innocue, tanto gli anni '50 sono passati da un pezzo. Altra novità, dopo la perdita del padre per raggiunti limiti di età, il ritrovamento di un figlio, con un'intesa intergenerazionale che si rivela ancora una volta a prova di kalashnikov. E infine, la ciliegina sulla torta: essendo passati un paio di decenni dall'episodio precedente, cambiano inevitabilmente anche i cattivi. Siamo nel 1957, in piena guerra fredda, e con i tedeschi ormai democratizzati e non più in grado di nuocere, arrivano i russi, arrivano i russi, il che consente alla sceneggiatura di conservare l'atmosfera vagamente spionistica introdotta nel terzo episodio con i buoni offici di papà Connery. Il colonnello-medium Irina Spalko, novella Rosa Clegg, è resa con gusto da una Cate Blanchett che sembra godersela una cifra. E dopo un'attesa di 19 anni dall'episodio precedente, come non potrebbe godersela anche lo spettatore?
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta